Per chi ama il motocross non è un nome di poco conto: Michele Rinaldi, sessant’anni compiuti nel marzo scorso, è stato il primo italiano a laurearsi campione mondiale nella specialità su terra. Era il lontano 1984, e in sella alla sua Suzuki (dopo l’esperienza con Gilera) conquistava il primo e unico mondiale della sua carriera. Subito dopo il passaggio, sempre con la casa giapponese, alla 250 nella quale rimarrà fino al 1987, collezionando a fine anno due argenti e due quarti posti.
In occasione del Premio Bancarella Sport, competizione letteraria dedicata ai lavori del mondo dello sport, Nico Cereghini ha incontrato Michele Rinaldi, che ha presentato un suo lavoro intitolato Campioni e non. Per il campione italiano è importante, soprattutto, distinguere tra i veri campioni e i “campioncini”, come si è umilmente definito. Ovvero tra coloro che riescono a proseguire le scie di vittorie negli anni (particolarmente Toni Cairoli e Stefan Everts) oppure quelli che si fermano a una “sola” vittoria.
Una stoccata poi verso gli italiani e gli avversari del Nord Europa, che Rinaldi considera naturalmente più favoriti dei mediterranei per le minori distrazioni che li circondano. Infatti mentre noi possiamo distrarci con le bellezze, le montagne, le spiagge e tutto ciò che ci spinge lontani dal “duro lavoro”, soprattutto gli scandinavi sono per geografia e posizione portati a considerare diversamente l’approccio quotidiano al lavoro.
Una tesi che è una provocazione, e non un assunto vero e proprio. Il tutto per ribadire l’importanza del sacrificio, del lavoro e della tenacia in qualsiasi cosa si faccia. Solo così, senza distrazioni, è possibile raggiungere gli obiettivi anche senza avere un talento inarrivabile.
Non il caso di Toni Cairoli, nove volte campione mondiale di motocross, forse il più grande di tutti i tempi. Pur provenendo dalla Sicilia, dove il motocross è quasi sconosciuto, ha saputo conquistare le classifiche mondiali. Rinaldi ci tiene a sottolinearlo per ribadire quanto l’uscita dalla comfort zone possa essere di beneficio.
Per Rinaldi poi un ricordo non esattamente felice, quello della Parigi-Dakar 1987, una delle ultime gare della sua comunque grandissima carriera. E in tutto ciò, un messaggio alle generazioni di crossisti che verranno.
L’intervista completa è stata pubblicata su Moto.it.
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