Nordkapp è una meta che sognano tanti motociclisti europei e che spesso viene presa come punto di riferimento anche dagli stranieri, desiderosi di cimentarsi con un viaggio avventuroso ma con le tranquille modalità della vecchia Europa.
Per molti, lo scopo del viaggio è raggiungere Capo Nord, sporgersi dal promontorio roccioso sferzato dal vento e scattare un selfie sotto il famoso mappamondo e, con un po’ di fortuna, inquadrare anche il sole di mezzanotte. Per altri, sognatori, parte sicuramente minoritaria ma non meno avventurosa, il vero obiettivo, celato da quel punto estremo a nord della penisola scandinava, è il viaggio attraverso un territorio meraviglioso, alla scoperta di luoghi, popoli e tradizioni, profondamente diversi e sicuramente affascinanti.
Mia moglie ed io siamo quindi partiti dalle pendici del Gran Sasso alla volta della costa adriatica, per percorrere rapidamente la A14 verso nord, tra i riflessi del sole sulle onde placide del mattino, ed attraversare le Marche e l’Emilia-Romagna, volgendo la ruota anteriore della nostra Ducati Multistrada verso la Lombardia, per fare tappa sullo Stelvio, dove un’aquila ci ha regalato la prima emozione, alzandosi in volo a qualche decina di metri dalla nostra moto e lasciandoci a bocca aperta con i colori delle sue grandi e maestose ali. Neppure il tempo di estrarre la reflex dalla borsa del serbatoio ed era già sparita. 48 tornanti e siamo in Austria, che già conoscevamo ma che attraversiamo sempre con piacere, soprattutto per tornare sul ghiacciaio Oztaler, alla ricerca di un po’ di fresco dopo i 35 gradi della pianura padana: è sempre una bella sensazione.
La Romantische Strasse tedesca e le velocissime autobahn (che non ci impediscono di apprezzare gli immensi campi di grano e di luppolo della Germania) ci portano, in meno di due giorni, ad ammirare Copenhagen e lo spettacolare ponte di Malmö, collegato al continente da un tunnel sottomarino che emerge al largo e porta il viaggiatore su una delle opere ingegneristiche più belle di sempre.
Un po’ di attenzione al vento, che su questo lunghissimo ponte spira sempre con una certa allegria, e prendiamo la strada per Stoccolma, dove visitiamo l’Accademia dei Nobel ed il Palazzo Reale, con la splendida vista sui canali della città vecchia (Gamla Stan). Una nuova cavalcata verso Oslo ci fa attraversare la regione dei laghi, in cui le foreste di conifere sono intervallate da specchi d’acqua cristallini, circondati dalla foschia, come in una fiaba nordica. Il bicilindrico desmo ronfa e borbotta tranquillo, non sono certo le velocità norvegesi a preoccuparlo e l’aria fresca garantisce un raffreddamento ottimale. Qui, inoltre, la benzina è quasi sempre della Shell, che ha la cento ottani migliore e che costa meno che nel resto d’Europa. In sostanza, la Multi beve meglio di noi.
Oslo ci attende coperta di fiori e di mille colori. La visita al Palazzo Reale ci regala lo spettacolo del cambio della guardia e del giardino dei Re. Al centro del laghetto c’è un isolotto con delle arnie, che producono il miele per la famiglia reale.
Le guardie sono austere ma cordiali e non si sottraggono alle foto dei turisti, sorridendo senza scomporsi. Procedendo verso Bergen, incontriamo un’altra meraviglia ingegneristica: la galleria di 24 km che ha al suo interno tre piazzole di sosta illuminate di azzurro ed una rotonda in cui confluiscono altre due gallerie. All’uscita, dopo mezz’ora trascorsa sotto la montagna, sentiamo il bisogno di una sosta rigeneratrice presso il primo punto di ristoro disponibile. Iniziano a vedersi molte Tesla, nonostante la Norvegia sia territorio privilegiato per i carburanti fossili, per via delle numerose piattaforme petrolifere al largo delle coste scandinave. L’influenza statunitense è evidente anche per il gran numero di V8 americani degli anni 50 in circolazione, che riportano alcune stazioni di servizio, più datate, alle atmosfere di Happy Days. Il molo anseatico di Bergen offre ai visitatori uno spaccato della vecchia città in legno dei pescatori e i mille profumi del mercato del pesce; gustare tonno, salmone e granchio reale, in una delle tante botteghe all’aperto, è assolutamente necessario.
La Atlantic Ocean Road culla il motociclista con i suoi numerosi ponti, che scavalcano un’isola dopo l’altra mentre l’aria profuma di salsedine per le onde che si schiantano sugli scogli sottostanti. Quello che non t’aspetti di trovare, viaggiando tra montagne, baite e acque che scendono da ogni parte, ad incontrarsi con quelle salate dei fiordi, che si spingono per chilometri nell’entroterra, sono le piantagioni di fragole, di cui la Norvegia è uno dei maggiori produttori d’Europa. Belle, rosse, dolcissime, raccolte ancora a mano, è possibile gustarle lungo la strada, se avete delle corone norvegesi in tasca (i contadini non conoscono e non accettano gli euro), oppure in uno dei tanti ristorantini o pasticcerie della zona.
Dopo aver affrontato il Trollstigen (la scala dei Troll, che permette di passare in moto nelle immediate vicinanze di un’altissima cascata) e il Dalsnibba (la terrazza panoramica dalla quale è possibile ammirare il Geiranger fjord), due dei passi di montagna più alti della Norvegia, siamo approdati alle Isole Lofoten, ambiente meraviglioso e incontaminato, costellato di calette di ricovero delle barche dei pescatori, casette rosse e bianche, strutture per l’essiccazione dei merluzzi e acque cristalline su sabbie bianche, che fanno rimpiangere la Polinesia solo per le temperature, glaciali anche in estate.
Rientrando sulla penisola scandinava si inizia a percepire la differenza rispetto al territorio precedente. Non è solo una questione di colori (le rocce sono nere al sud, rossastre nella zona intermedia e bianche al nord) ma soprattutto di temperatura. Dopo il circolo polare artico c’è un vero “muro”, oltre il quale le piante si diradano per lasciare il posto a cespugli e licheni e il termometro della moto crolla dai 20/25 gradi centigradi dei giorni precedenti ad una media di 10/12, per scendere ulteriormente fino a 6/7 dopo Tromso. La cattedrale dell’artico, con la sua incantevole forma triangolare, con le pareti bianche tenute su da una immensa croce, riscalda il cuore ma non le tute, ed è necessario indossare anche gli antipioggia, dopo le imbottiture, per ripararsi dal freddo e dalla pioggerellina frequente.
Viaggiare oltre i 60 km orari è poco piacevole e, soprattutto, pericoloso nelle frequenti gallerie, poco illuminate e dal fondo viscido. Quella che si incontra a meno di 50 km da Capo Nord e che scende sotto un fiordo, fino a 200 metri di profondità, impegna la testa, più che le braccia, perché ci si trova ad affrontare una pendenza discreta in condizioni di scarsa illuminazione e con il fondo sporco, ed una successiva salita altrettanto inquietante.
Le renne e i cespugli scompaiono a 7 km da Capo Nord e vengono affrontati nella più totale desolazione di un nastro d’asfalto che scorre tra le rocce e i terreni ricoperti di licheni. Il termometro segna 5 gradi, percepiti soprattutto con gli occhi, che, nonostante la doppia visiera, risentono molto della gelida temperatura esterna.
Scoprire e visitare la struttura che accoglie i visitatori a Capo Nord è quasi deludente dopo un viaggio così affascinante, anche se resta la soddisfazione di essere giunti a destinazione e di avere ancora davanti tutto il viaggio di ritorno, percorrendo la Finlandia e le Repubblica baltiche, la Polonia, la Slovacchia e l’Ungheria, fino alla Croazia, dove un traghetto ci riporterà vicino casa. Ma questa è un’altra storia.
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