Esistono le moto, le moto belle, i capolavori e poi c’è lei: la Ducati 916, senza ombra di dubbio la moto più bella si sempre. Sono ben conscio che questo articolo susciterà grande fermento: chi concorderà, chi sarà assolutamente contrario, chi sarà combattuto, chi dirà che le Ducati si smontano, ecc. Insomma, sono certo che ne uscirà fuori un bel putiferio. Parliamoci chiaro, scegliere la più bella di sempre non è mica facile e, soprattutto, qualsiasi scelta non metterà mai tutti d’accordo. Perché la motocicletta, diversamente dall’auto, è una questione troppo personale e come tale ognuno ha i suoi gusti intimi dai quali per niente al mondo potrà discostarsi. E in base al nostro gusto la 916 è la più bella di tutti i tempi. Prima di mettermi alla gogna, però, vi chiedo di leggere quello che sto per raccontarvi. Sono certo che alla fine un pochino mi darete ragione.
Velocissima anche da ferma
Anno Domini 1993: nasce l’Unione Europea (o quanto meno il suo embrione) e il mondo resta a bocca aperta davanti a Jurassic Park, che esce nelle sale cinematografiche nel mese di giugno. Ma c’è un altro mondo, quello del motociclismo, che viene scosso da un terremoto di magnitudo incalcolabile, un terremoto buono, di quelli che non fanno vittime ma creano solo ammiratori: è la presentazione, nel mese di ottobre al Salone di Milano, della Ducati 916. Improvvisamente, come per magia, tutte le moto attorno a lei sembrarono vecchie…o meglio: era lei ad essere 30 anni avanti a tutti. E oggi, nel 2023, non possiamo che constatare che era veramente così.
La 851 era ormai obsoleta
La matita, ormai lo sappiamo bene, è quella di Massimo Tamburini, direttore del Centro Ricerche Cagiva. Un uomo decisamente lungimirante, tanto che riesce a donare alla sua creatura una linea che tutt’oggi, a distanza di 30 anni, è ancora attualissima: carene dalle linee futuristiche, scarichi sotto il codone e doppio fanale anteriore, stretto e affusolato, caratteristiche che, negli anni, verranno riprese da moltissime case costruttrici per cercare di stare dietro al mito. Una moto che ferma sul cavalletto restituisce una sensazione di velocità unica, come se fosse in una condizione di moto perpetuo.
Il forcellone monobraccio, ideale per cambi ruota volanti
L’obiettivo del gotha di Borgo Panigale era tanto chiaro quanto complesso: svecchiare la linea 851/888, estremamente performante ma piuttosto obsoleta, e continuare vincere in Superbike. Per fare questo era necessario avere un’ottima base di partenza, già pronta per la pista, migliorabile solo con pochi interventi. E la 916 nacque proprio per far fronte a questa esigenza e lo si nota già a prima vista, a partire dal monobraccio posteriore, per il tempo decisamente inusuale ma ideale per abbattere sensibilmente i tempi per il cambio ruota, sino ad arrivare alla posizione di guida, assolutamente scomoda per la strada ma perfetta per la guida fra i cordoli. Insomma, fari e frecce erano giusto un applicazione necessaria all’omologazione su strada, ma tutto il resto parlava la lingua delle competizioni.
Bicilindrico a “L” con distribuzione desmodromica
Inizialmente Ducati presentò la 916 in due versioni: una standard e la SP, ulteriormente pronta sin da subito a solcare la pista. Il motore di partenza era il medesimo per entrambe le versioni: bicilindrico a “L” da 916 cc di cilindrata, con distribuzione desmodromica, cambio a 6 marce e trasmissione finale a catena. Questo propulsore, che oggi conosciamo più che bene, nella versione “base” arrivava a erogare 112 cv, che salivano a 131 nella versione SP, grazie all’utilizzo di componentistica di derivazione Superbike.
Per quanto riguarda la ciclistica, gli ingegneri Ducati cestinarono tutto ciò che era stato fatto sin a quel momento, per progettare una vera e propria opera prima: un telaio a traliccio di tubi in acciaio si raccordava con la forcella Showa da 43 mm completamente regolabile ed essere sempre pronta ad adattare il comportamento dinamico della motocicletta alle esigenze del pilota e del circuito. Il tutto era irrigidito con piastre di dimensioni ragguardevoli. Al posteriore montava un monoammortizzatore Showa, anch’esso regolabile nell’idraulica. Reparto freni affidato, neanche a dirlo, a Brembo, con doppio disco flottante all’anteriore da 320 mm di diametro e da un disco da 220 mm al posteriore.
La 916 Racing che conquistò il Mondiale Superbike del 1994
E con queste premesse, secondo, voi, come andò l’esordio nel Campionato Superbike? Ovviamente, fu un successo planetario. Se da un lato, in quel 1994, la Nazionale di calcio aveva preso una sonora batosta in finale con il Brasile durante i Campionati del mondo USA 1994, dall’altro la Ducati 916 Racing, sapientemente condotta da Carl Fogarty, si aggiudicò subito il Mondiale. L’anno successivo doppietta e nel 1996, con un ulteriore aumento di cilindrata a 996 cc e la guida di Troy Corser, un miracolo avvenne sulle piste: la 916 Racing girava a parità di tempi con le 500 GP 2 tempi, nonostante queste ultime avessero diversi cavalli in più e 30 kg in meno rispetto alla bella di Borgo Panigale. Adesso, dopo che avete letto tutto questo, ammetterete che avevo un po’ un di ragione?
Credit foto:
Ducati 916 – Wikipedia
Ducati 851 – Wikipedia
916 Copertina – Wikimedia
Garfagnino DOC e Sardo di adozione, sono uno storico dell’arte (da qualche anno) e biker sin dalla più tenera giovinezza. Ho iniziato a collaborare con TrueRiders nel 2023 per mettermi in gioco nel campo della scrittura e ho voluto cominciare scrivendo di qualcosa che amo particolarmente: la moto e tutto ciò che le ruota attorno.
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