Nel 2023 non è strano o difficile vedere una donna in sella a una moto. Non solo in strada, ma anche in pista, le ragazze hanno iniziato a fare capolino più numerose che mai, abbandonando gli stereotipi che le relegavano a sole passeggere o, al massimo, a proprietarie di moto poco potenti e “da donna”. Oggi le motocicliste hanno una loro identità e sono sempre di più coloro che si sono avvicinate al professionismo, complici anche le squadre e i management che hanno capito che in pista non conta il tuo genere, ma quanto vai veloce. Ma la prima donna italiana a salire su una moto chi è stata? La pioniera di questo flusso di ragazze che inseguono il loro sogno a due ruote è Ettorina detta Vittorina Sambri. E la sua storia, seppur a tratti triste, è davvero bella e parla di determinazione. Perché cento anni fa per correre in moto se eri una ragazza, di determinazione ne dovevi avere davvero tanta.
Nata nel 1891 a Vigarano Mainarda, in provincia di Ferrara, Vittorina Sambri era la quinta dei sette figli di un locandiere. Inutile dire che all’inizio del Ventesimo secolo, il mestiere della motociclista era qualcosa che appariva molto lontano dalla visione del futuro per una bimba appena nata. Le aspettative di genere erano chiare e rigide: le donne erano spesso confinate a ruoli domestici e considerate incapaci di affrontare attività fisiche o professioni tradizionalmente maschili, figuriamoci competere contro di loro. Ma la giovane Sambri fin da ragazzina si era distinta per il suo aspetto androgino, ma ancora di più per il suo temperamento e la sua determinazione.
L’avvicinamento alle due ruote avvenne grazie a un mezzo non a motore, la bicicletta. Vittorina Sambri nel 1911 iniziò, infatti, a gareggiare nei velodromi in sella ad una Wordling. Le attenzioni arrivano subito, sia grazie alle sue vittorie nelle gare “per signorine” e contro gli atleti uomini, ma anche grazie al suo rifiuto della divisa femminile. Ma la vera ribellione avvenne due anni dopo, quando nel 1913 decise di partecipare alle gare motociclistiche.
Nell’agosto del 1913 sfidò all’ippodromo di Faenza il pilota Antoniazzi che non vedeva l’ora di “mandare a far la calza quella impertinente che non voleva stare al suo posto”. Purtroppo per lui, la Sambri vinse dando inizio ad una vera e propria rivoluzione di genere. Mostrò una determinazione e un coraggio che i giornali dell’epoca descrissero come “non comune nel mondo femminile e forse neanche…in quello maschile”.
La sua carriera era solo all’inizio. Partecipò al Gran Premio motociclistico di Fucecchio vincendo le tre prove, per poi replicarsi in una riunione motoristica a Faenza. Nella stessa città si iscrisse alla corsa dedicata alle 350cc nel maggio del 1914 e arrivò alle spalle di Miro Maffeis dopo una gara testa a testa. Ma la sconfitta non fu schiacciante, poiché la pilota venne battuta per soli 40 secondi in una gara lunga 190km! E di nuovo a Cremona salirà nuovamente sul podio qualche mese dopo in occasione dei Campionati motociclistici su pista nella categoria 500cc.
Nell’ottobre dello stesso anno, partecipò ai Campionati di Velocità al Velodromo del Sempione di Milano. Non furono Maffeis e Belfanti a sconfiggerla questa volta, ma la rottura della cinghia della sua motocicletta.
Il suo nome era ormai noto nell’ambiente delle corse a due ruote, tanto che la ditta torinese Moto Borgo la scelse come testimonial. Una scelta che un secolo dopo non sembra chissà quanto strana, ma che all’epoca fu una vera rivoluzione: una donna pilota, con capelli corti e cravatta, faceva bella mostra sui cartelli promozionali di uno dei marchi più noti dell’epoca. E con quella moto ci correva anche, visto che dal 1920 la Borgo 500 fu la sua moto per le gare nella classe 500cc e con essa raggiunse la velocità di 95 km/h, una scheggia per l’epoca.
Il percorso di Vittorina, però, non fu tutto rose, fiori e vittorie. Oltre a dover affrontare lo scetticismo e la critica degli altri, la sua intraprendenza e il suo modo di fare erano visti come una sfida. Le donne non potevano e non dovevano entrare nell’elitario mondo maschilista dei motori! Le sue doti, poi, avevano fatto nascere il dubbio che in realtà la pilota fosse un uomo vestito da donna. Perchè? Si pensava avesse scelto un alter ego per poter attirare l’attenzione e avere maggiore notorietà. Le parole del pilota Ettore Perdicchi lo testimoniano bene. “Quando quella lì veniva a Rimini per la Coppa dell’Adriatico, le correvamo dietro sulla spiaggia facendo finta di scherzare per vedere se capitava l’occasione di svelare il segreto”. Per di più, pare che Vittorina Sambri avesse una relazione con un’altra donna, e ciò attirò ancora più astio nei suoi confronti.
Nell’Italia di inizio Novecento, la donna era ancora l’angelo del focolare. Come era possibile che una ragazza della provincia ferrarese fosse capace di guidare una moto? Ancora meno comprensibile era il suo interesse e la sua bravura anche nella meccanica del mezzo, considerato rivoluzionario e appannaggio di soli uomini.
La sua carriera sportiva non ebbe un proseguo, forse anche a causa dell’avvento del ventennio fascista che relegò nuovamente le donne in casa. Vittorina, però, aprì un’officina con il fratello Romeo ed era usuale trovarla con le mani sporche a sistemare qualche mezzo. Abiti prettamente maschili e le capacità di chi alle due ruote aveva e avrebbe continuato a dedicare la sua vita. Nel 1936 divenne concessionaria ufficiale Moto Guzzi per la provincia di Ferrara e Vittorina continuò a sistemare motociclette fino al 1961.
La storia di Vittorina Sambri è un esempio di determinazione e coraggio che sfidò i limiti imposti dalle aspettative di genere del suo tempo. La sua passione per le motociclette le permise sia di rompere le catene del patriarcato che la strada per molte altre donne. Il suo spirito ribelle e la sua dedizione alla sua passione rimangono un esempio di come l’individualismo e la determinazione possano superare le barriere imposte dalla società. La sua storia ci ricorda che le passioni e i talenti non conoscono limiti di genere. A un secolo dalla sua avventura nel mondo delle motociclette, Vittorina Sambri rimane una fonte d’ispirazione per tutte le ragazze che nella propria vita sognano le due ruote.
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