Una teenager dai capelli rossi distesa sul letto che, parlando al telefono, lamenta la mancanza del suo Piaggio Ciao, sempre in giro con qualche familiare. Così la Piaggio inaugurava l’iconografia pubblicitaria di un mito su due ruote, destinato a rappresentare una vera e propria rivoluzione nel mondo della mobilità per i giovani. La pubblicità, caratterizzata da una carrellata di giovani felici alla guida dei propri Piaggio Ciao, terminava con lo slogan “perché quando si vuole andare con l’aria sul viso, quando servono due ruote nuove, moderne, allora, in famiglia diciamo Ciao! è un prodotto Piaggio”. Andiamo a scoprire insieme la storia di questo modello rivoluzionario, pensato apposta per i giovani degli anni Sessanta.
Era il 1967, l’Italia viveva l’inizio di un fermento sociale e politico che avrebbe caratterizzato i successivi 20 anni e dagli stabilimenti Piaggio veniva alla luce la prima serie del Ciao, modello iconico della casa di Pontedera che già aveva motorizzato l’Italia grazie alla geniale invenzione della Vespa. Pensato per un mercato giovane, quasi alla stregua di una bicicletta, il piccolo ciclomotore Piaggio pesava solo 40 kg a secco ed era caratterizzato da una meccanica semplicissima.
Le prime serie del Ciao
Progettato dalla squadra diretta dall’ingegner Bruno Gaddi su disegno di Corradino d’Ascanio, il padre della Vespa, la prima serie del Ciao venne realizzata con una meccanica semplicissima che divenne, con qualche piccola evoluzione, il tratto distintivo di questo ciclomotore. La primissima versione, a faro tondo, montava un motore a 2 tempi, monocilindrico orizzontale da 49,77 cc, raffreddato ad aria e alimentato con una miscela di benzina e olio al 2% capace di sviluppare ben 1,41 cv di potenza, che spingevano il ciclomotore alla velocità massima di 43 km/h. La trasmissione era automatica tramite una cinghia trapezoidale e la frenata era garantita dalla combinazione di un freno posteriore a tamburo e di uno anteriore a pattino, tipo bicicletta. L’avviamento avveniva tramite pedali, anch’essi di derivazione ciclistica, e gli ammortizzatori erano assenti; un minimo di confort era comunque presente grazie al sellino dotato di molle.
Già dai primissimi momenti di vita la versione base, capace di percorrere oltre 4o km con un litro di miscela, venne affiancata da ben altre cinque versioni, diverse per diametro dei cerchi, freni a tamburo su entrambe le ruote e presenza di una rudimentale trasmissione a variatore di rapporti. L’estrema semplicità fu comunque l’elemento grazie a cui la Piaggio ebbe la possibilità di immettere sul mercato il Ciao alla cifra competitiva di 54mila Lire (circa 550€ odierni), meno della metà della Vespa.
Le versioni proposte sono state tantissime
Tutti questi fattori decretarono da subito un successo strepitoso per il Ciao, al pari della ben più blasonata Vespa, facendo sì che il modello rimanesse in produzione per ben 39 anni consecutivi, sino al 2006. La Piaggio, col passare del tempo, ha presentato il Ciao in numerosissime versioni, che tra modelli speciali e rivisitazioni arrivano a superare il numero di venti. Prima Serie, altrimenti detto “A”, Lusso, SC, Arcobaleno, Teen, Italia 90 e Kat Euro 2 sono solo alcune delle varianti che dal 1967 e al 2006 hanno popolato il mercato dei ciclomotori, conquistando il cuore di moltissimi giovani biker in tutto il mondo. Ogni versione ha una sua particolare peculiarità tenendo comunque fede all’armoniosa semplicità del progetto iniziale.
Il piccolo ciclomotore vanta addirittura due versioni a tre ruote (due parallele sull’asse anteriore e una sul posteriore): il Ciao Porter e il Ciao Tre, utilizzate dai piccoli commercianti per le consegue in entro abitato e dagli operatori ecologici.
Miscela finita? Nessun problema, si può sempre pedalare
Ma come funzionava il mito del Ciao? Molti di voi, probabilmente quelli che iniziano ad avere i capelli bianchi, lo ricorderanno benissimo; tuttavia, moltissimi giovani non hanno conosciuto direttamente questa meraviglia. Il suo funzionamento era, allo stesso tempo, semplicissimo e geniale, per il tempo. A condizioni normali il Ciao funzionava come un normale ciclomotore a trasmissione automatica: si accelerava e si frenava, niente di più. Ma, qualora fosse terminata la miscela, era possibile svincolare la ruota posteriore dalla trasmissione tramite un pulsante e, agendo sui pedali come una qualsiasi bicicletta, proseguire la marcia, seppur con non poca fatica visti i 40 kg di peso del motorino. Ai tempi, infatti, non era poi così inusuale incontrare qualche anonimo sventurato impegnato in estenuanti pedalate per raggiungere il primo distributore e fare miscela.
Il Ciao e la pubblicità per i giovani
Già dagli anni Settanta, la Piaggio investì molto sulla pubblicità del Ciao, sviluppando una iconografia diretta a raggiungere i più giovani. In particolare, uno dei manifesti più riusciti fu quello delle “sardomobili“, una definizione della scomoda auto, dove il guidatore era chiuso come in una scatola di sardine. La buffa dicitura prese piede a tal punto da diffondersi come un modo di dire che durò tra i giovani fino agli anni Ottanta. Anche sul piccolo schermo il Ciao ebbe un ruolo da protagonista; al primo spot che abbiamo visto poco sopra, molto parlato, ne seguirono altri più innovativi; in uno degli anni Ottanta, in particolare, le parole furono completamente sostituite dai volti soddisfatti dei giovani alla guida del motorino, con un solo lapidario slogan finale “Ciao è Piaggio“.
Credit foto:
Poster pubblicitario Piaggio Ciao
Garfagnino DOC e Sardo di adozione, sono uno storico dell’arte (da qualche anno) e biker sin dalla più tenera giovinezza. Ho iniziato a collaborare con TrueRiders nel 2023 per mettermi in gioco nel campo della scrittura e ho voluto cominciare scrivendo di qualcosa che amo particolarmente: la moto e tutto ciò che le ruota attorno.
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