Un lunghissimo viaggio tra Spagna e Portogallo, scoprendo le bellezze sorprendenti di due paesi tanto simili, quanto diversi
Km alla partenza 54.230 – Km all’arrivo 59.130 = totale km 4.904
Ore 17.30 sono già con il piede fuori dalla porta dell’ufficio. Gli orari dei mezzi di trasporto mi mettono da sempre ansia, figurati quando non sono padrona del mio tempo.
La possibilità di guadagnare un giorno di strada sul periodo disponibile e lo sconto del 30% ci ha convinto ad intraprendere questa follia di navigazione di quasi 24 ore.. ora l’importante è riuscire a prendere il traghetto: scopro che bisogna recarsi in biglietteria per convertire in carta d’imbarco il titolo di viaggio ma non riesco a capire né dove sta la biglietteria né quale sia la banchina di imbarco, forse la 21. Ma poi due ore prima dell’imbarco in biglietteria o alla banchina??? Mi immagino già la coda e la confusione, scopro comunque sul sito del porto di Civitavecchia che la nave farà scalo a Porto Torres.
Arrivo a casa e Leila, la nostra HD Street Glide, è già tutta vestita a puntino, il mio amato compagno di viaggio quasi. Alle 18.30 siamo in sella.
Si viaggia bene e dopo una grande galoppata alle 20:37 siamo già in porto! Imbarco veloce. Direi che partenza infrasettimanale è geniale.Si parte alla scoperta della nave e si cambiano un paio di posti prima di trovare il giaciglio che sembra ideale secondo i suggerimenti dei vari blog. In realtà si era trovato anche un gran bel privé ma il pavimento era un po’ sudicio.
Si mangia al sacco e poi ci accomodiamo con i nostri materassini, lasciando il bagaglio nella sala poltrone. Fortunatamente non abbiamo potuto prenotare i posti poltrona perché esauriti. Non ricordo il prezzo ma questa opzione è veramente fantozziana! File di sedili modello Ryanair con gente che russa, parla e respira. Meglio a questo punto la sala conferenze meno affollata e con poltrone gratis e più comode, ma l’aria condizionata è veramente eccessiva.
Tutto bene fin verso le 5 del mattino quando cominciano ad annunciare a ripetizione lo sbarco a Porto Torres. Essendo praticamente in stiva veniamo accerchiati dai turisti per la Sardegna, comunque poi riprendiamo a sonnecchiare senza un domani. Direi che un anno di stanchezza lavorativa ha dato in qualche modo i suoi frutti. Il mare è grosso e avrei dovuto immaginarmelo visto lo sbattere continuo della porta del ponte. Ci svegliamo con l’annuncio che il buffet chiuderà tra un quarto d’ora: andiamo con gli occhi appiccicosi a fare la colazione acquistata on line.
Passiamo la giornata sui materassini perché sopra si ondeggia troppo. Pensavo di leggermi tutta la guida e invece dormo.
Si mangia al buffet e si ridorme, siamo in ritardo di due ore, l’arrivo era previsto alle 19:45 a cui aggiungere i tempi dello sbarco, ci hanno infilato in fondo con la moto girata dalla parte sbagliata per cui si deve anche fare manovra.
Finalmente alle 21:54 sbarchiamo. Finalmente Spagna.
Faremo un po’ di regioni: Catalogna, Aragona, Castiglia y Leon, Galizia, Asturie, Cantabria, Paesi Baschi. Salteremo quindi nella sezione nord solo la Rioja e la Navarra.
Dire che io e Enrico siamo decisamente spagnoli nell’anima visto che tutto qui è in relazione al cibo e al riposo: niente apre prima delle 10 del mattino, è il momento del riposo. Quindi colazione dalle 10, poi aperitivo con un bicchiere di vino e tapas (questa si salta eh!) Il pranzo dalle 14 alle 16 (per nostra fortuna visto che arriviamo sempre lunghi sulle tappe). Poi c’è il merendero e poi di nuovo l’aperitivo (saltiamo, saltiamo) poi finalmente si cena! rigorosamente non prima delle 21. Dopo la cena churros e cioccolata calda o un caffelatte con paste prima della nanna. No vabbè non ce la possiamo fare nemmeno noi!
Ricordiamoci di lasciare la mancia!
Si parte. Avevamo previsto di arrivare a Lleida in tarda serata ma comunque in orario per la cena spagnola, mai prima delle 21!, e poi visitare la città. Invece arriveremo molto tardi ma ciò che conta è l’albergo con reception H24 e il parcheggio.
Ci fermiamo a fare benzina visto che a Civitavecchia era troppo cara e ci mettiamo piumino e calzini! Accidenti non me lo sarei aspettato!
Lleida ci accoglie con una bella immagine della cittadella illuminata. E’ mezzanotte e venti e la città è deserta… ma la movida?
Con qualche difficoltà comunichiamo con il portiere di notte che ci dice che lì intorno è tutto chiuso. Decidiamo di non avventurarci ed andare a colpo sicuro al grill H24 che avevamo visto poco prima sulla strada.
Ci trascineremo il discorso formato/appellativo birra per tutta la vacanza: già, perché noi la si faceva facile con “cerveza pequena e grande”! Peccato che nessun autoctono, tuttavia, si sognerebbe mai di andare alla “barra” e ordinare semplicemente una “cerveza” ma di solito, punta direttamente sulla quantità di birra che ha voglia di bere. Caña. Questa è la misura per eccellenza e corrisponde a un bicchiere normale, una piccola. Doble che, come dice il nome, rappresenta una quantità doppia della caña, una media.
Se siete aficionados della bottiglia di birra preferita, il Quinto corrisponde a una da 20 cl, mentre il Tercio è la bottiglietta da 30. Jarra (mezzo litro), detta anche Media, insomma una pinta, un’amplificazione della media. Mini: boccale enorme da un litro
Alla spina si dice a la pression o de barril ma pare sia scontato.
Incontriamo la torrada che non ritroveremo più (se non in portogallo ma con un’altra accezione) capisco che anche per il cibo si nomina per quantità. È tutto molto semplice basta partire dall’unità di misura della tapa e fare elevazioni al quadrato oppure somme ma mai, mai sottrazioni e divisioni mi raccomando.
Infatti se la tapa è una tartina (pinchos se ha lo stuzzicadenti), la sua evoluzione in verticale viene chiamata montadito ovvero un piccolo panino imbottito rotondo. Quando si evolve sia verticale che in orizzontale diventa un bocadillo cioè un vero e proprio panino imbottito. Quindi sta torrada che è? Semplice una tapa che si evolve in orizzontale!
Sveglia alle 8:30 che sarà una costante per tutto il viaggio. Il programma prevedeva partenza immediata per Castiglia y Leon visto la mole di chilometri da percorrere ma una visitina veloce si deve fare anche perché Lleida non è una città che capita spesso nei percorsi. Arriviamo al Castillo del Rey attraversando titubanti la Puerta del Leon. Appena superata, troviamo un parcheggio immenso e sgraniamo gli occhi di fronte allo skyline ocra che si staglia nel cielo blu! Il castello è circondato da mura e al loro interno è racchiusa la Seu Vella, la vecchia cattedrale, un romano-gotico che mi stringe il cuore non visitare ma è già troppo tardi. La cittadella è raggiungibile dalla città bassa anche tramite due elevatori oppure con il trenino turistico.
Imbocchiamo l’autopista del Nordeste: incontriamo le inevitabili sagome del toro di Osborne e distese di pale eoliche che mi ricordano la mia meraviglia di dieci anni fa durante il primo viaggio in Spagna: allora per noi, l’energia alternativa era ancora fantascienza.
Il paesaggio è lunare, arido: rilievi con la punta tagliata si alternato a piane ondulate e monotone; la vegetazione è scarsissima, a carattere steppico nelle zone pianeggianti, a macchia sulle pendici dei rilievi. A tratti l’ocra biancastro e la roccia si impongono. Le lunghe strade dritte e le mesas richiamano inevitabilmente l’America e i film western. Per fortuna non fa caldo e si viaggia bene.
Non è ancora Meseta (limitata a est dal Sistema Iberico): siamo nella valle del Ebro e vicinissimo al deserto di Monegros. Prima di arrivare a Saragoza attraversiamo curiosamente il meridiano di Greenwich. Dopo 153 km, verso le 14:30 ci fermiamo a Saragoza come previsto per pranzo. Parcheggiamo appena dietro a Plaza del Pilar e andiamo a mangiare in un baretto/ristorante turistico. Qui vengono annientate le mie analisi su come ordinare una birra, qui niente “cana” ma “copa”.
Questa piazza è veramente maestosa e spettacolosa: lastricata con una pietra chiara e luminosa presenta alcune fontane moderne che ben si integrano in un contesto che spazia dai resti delle mura romane, alla monumentale Basilica de Nuestra Señora de Pilar con le sue vivaci cupole, dalla Lonja di chiare influenze fiorentine, alla vecchia cattedrale in stile gotico-mudejar. Eppure l’insieme è armonioso e piacevole.
Vorrei immensamente vedere Aljjaferia, visto che abbiamo dovuto rinunciare al Sud e quindi all’Alhambra, ma è veramente tardi: sono le 16:30 e ci aspettano ancora un sacco di chilometri, 325 per la precisione. Inoltre stasera siamo a dormire in una casa rural quindi non possiamo arrivare troppo tardi
Ritorniamo sulla A2 fino a quando non incontriamo la CL116 che ci porterà fino alla meta.
Quando incontriamo il cartello “Castilla y Leon”, il clima si è già scaldato da un po’, così che le nostre labbra screpolate dal vento ora posso essere inaridite dal caldo e dal sole, lasciandocene il ricordo per tutta la vacanza e un pezzettino oltre.
A Pozuel de Ariza, in prossimità del cartello ci fermiamo per la classica foto ricordo.
Siamo ufficialmente negli altopiani della Meseta settentrionale. Ora tra le lande color ocra, si alzano improvvise colline da cui severi castelli dominano le strade che si snodano tra campi bruciati dal sole.
Viaggiare diventa più faticoso e facciamo una sosta ristoratrice in un paesino con quattro anime ma con castello! Siamo a Monteagudo de las Vicarias: una coca ghiacciata e dell’acqua, due sedie e una sigaretta. Questo bar mi ricorda l’unico bar del paese in cui andavo a comprare i ghiaccioli quando ero piccina. La Spagna è così: è rimasta a 20 anni fa per tutto ciò che dà intimità e calore e ha fatto passi da giganti nell’economia e nell’amministrazione. Noi abbiamo fatto esattamente il contrario.
In prossimità di Burgo di Osma, che non visitiamo, imbocchiamo la N122 e ai castelli si aggiungono le distese di vigneti coltivati ad alberello. Per me, abituata alla coltivazione a sperone, è una piacevole sorpresa.
Dopo Penafiel e arriviamo a Pesquera e poi all’hotel attraversando una strada con una bodega dopo l’altra! Pesquera ripete il lento microcosmo dei precedenti paesi. Qui c’è un ristorante che chiude alle 22.30. Ci prepariamo e usciamo. Arrivati sul luogo non capiamo molto bene come funzioni: fuori ci sono dei tavolini in ferro tipo bar ma la gente che è seduta ha solo birra e stuzzichini.
Entriamo e chiediamo: fuori e alla barra è possibile ordinare degli stuzzichini di cui ci presenta una lista. Mentre per il ristorante ci possiamo accomodare all’interno. Lo facciamo anche perché fuori la temperatura non aiuta e non ho molta voglia di mangiare con il piumino. Siamo solo noi e rimarremo solo noi. Mi sfugge qualcosa. In questo paesino ci sono un sacco di turisti ed un unico ristorante. Quindi o tutti vanno di stuzzichini o tutti vanno in altri paesi. In effetti ancora ci sfugge questa formula di nanograstronomia così presente in Spagna che diventa un’occasione rilassata e informale di socializzazione più ampia di un tavolo di ristorante, pur popolato che sia. Il Secreto Iberico merita una parentesi. Il suino iberico è il maiale con cui si produce il prosciutto più famoso al mondo: El Jamón Iberico Pata Negra. Il Suino Iberico Pata Negra è una razza scura, la cui carne è molto diversa da quella del suino “rosa”: è una carne rossa molto marezzata, proveniente da animali allevati allo stato brado nelle dehesas spagnole (foreste di querce). I suini iberici sono sacrificati nel periodo invernale (da gennaio a marzo), durante la stagione delle ghiande, la cosiddetta “montanera”. In questo periodo i suini iberici si alimentano essenzialmente di ghiande (fino a 12 kg al giorno), aumentando di quasi 1 kg al giorno, un po’ come noi quando siamo in vacanza.
Tra tutti i tagli di suino iberico il secreto è quello con la più alta percentuale di infiltrazioni di grasso. La succosità e la tenerezza sono quindi estreme. Il Secreto Iberico è un taglio che si trova “nascosto” tra il lardo, le costole e la scapola: si trova solo se il muscolo è tagliato orizzontalmente; da qui il nome secreto. Altri invece ritengono che il nome di questo taglio derivasse dalla volontà dei macellai di tenere segreto questo pezzo saporito e utilizzarlo per un consumo personale.
Stamani destinazione Portogallo. Carichiamo, salutiamo e via. Vigneti e castelli ci accompagnano ancora per un bel pezzo.
L’aria si scalda subito oggi. Decidiamo di darci come tappa intermedia Braganza in Portogallo. La strada è dritta e quasi deserta. Ogni tanto incontriamo qualche camion che ci affumica e ci rallenta. Ecco, ora ci sono delle macchine infilate dietro a un camion. Enrico ne supera una poi ‘un se move più da lì dietro e mi dice di stare zitta: c’è la macchina della polizia dietro di noi che a un certo punto accede i lampeggianti e poi li spegne… Questa strada è tutto un alternarsi di striscia continua da un lato poi dall’altro poi doppia… un mal di testa… Poi la polizia ci supera e supera il camion. Il camion prende una laterale. Noi continuiamo e dietro ad una curva, ma ci fermano: documenti. “Enrico usted sabe que esta prohibido adelantar la linea continua? Tengo que hacer una contravencion” E se ne va alla volante. Vedrai che salassata. Enrico invece pensa che saranno 36€. Arriva un altro berretto che comincia a guardare tutta la moto, cerca solo la scritta con il modello. Quindi ci chiede se siamo residenti e al nostro no ci dice che dobbiamo pagare subito ottenendo però lo sconto del 50% quindi invece che 200 vinciamo un bel 100 euro. Hanno anche la macchinetta del bancomat e il tablet per firmare la multa! Adios Spagna, benvenuto Portogallo.
Ci fermiamo a Bragança, piccolo centro medievale circondato da mura e naturalmente con un castello. Ca va sans dire che l’obiettivo è mangiare. Sono già le 14:20 e gli orari del Portogallo penso siano un po’ diversi.
Verso le 16:30 ripartiamo e dopo infiniti chilometri di discesa e caldo eccoci finalmente a Porto. Alle 19 siamo in Hotel, siamo stanchi e fa caldo e l’impatto non è dei migliori. Stanno rifacendo completamente la piazza vicino a noi quindi anche le indicazioni per andare al parcheggio che abbiamo scelto saranno un po’ da rivedere. Scarichiamo e andiamo al parcheggio. Il parcheggio moto è uno spazio angusto davanti alla cassa dove ci sono anche delle biciclette. La moto si vede dalla strada. Cerchiamo di parcheggiarla il meglio possibile anche perché è in prossimità dell’uscita delle macchine. Il signore del parcheggio ci dice di metterci il bloccadisco ma che comunque c’è qualcuno in cassa tutta la notte.
Insomma a me non dà molta fiducia questo signore tutto baldanzoso e gentile: ancora non ho conosciuto questo popolo stupendo dove ancora si percepisce una sana gentilezza e la fiducia nelle persone. Chissà che ha pensato la signora dell’hotel quando non potendomi fare la ricevuta, le ho fatto scrivere sulla prenotazione che avevo pagato e il tizio del parcheggio quando tutte le mattine e tutte le sere passavo a dare una controllatina.
Ritorniamo in hotel e decidiamo di approfittare della lavanderia automatica di fronte dandoci il cambio alle docce e poi ci avventuriamo per porto
Sono contenta che avremo una giornata completa a Porto. Partiamo per il nostro giro turistico: oggi è una bella giornata e fa caldo! Porto è impegnativa: le due colline su cui si sviluppa degradano verso il Duoro rispettivamente da una riva e dall’altra. La prima parte della visita sarà facile perché in discesa, al resto pensiamo stasera!
Porto ha un fascino decadente ma è in piena ristrutturazione urbana. Stanno svolgendo infatti importanti opere tra cui il rifacimento completo di un quartiere proprio vicino a noi e troveremo diversi cantieri in giro per la città.
Una visitina a Leila e poi andiamo verso la Capela das Almas, con spettacolari azulejos per la gioia dei miei occhi, per poi arrivare alla maestosa Praca de Aliados e successiva Praca da Liberdade. Da qui fino al Cais de Riberia si estende la Città Vecchia. Spettacolosa la Stazione che integra influenze dal gusto francese agli enormi azulejos.
Ci dirigiamo verso il complesso della Cattedrale del Se, una chiesa fortezza. Purtroppo è orario di chiusura ma ci ripaga una magnifica vista sui tetti della città e sul fiume. Dedali di vicoli in discesa ci portano finalmente sul fiume, alla Ribeira, il quartiere più caratteristico della città: dalla città alta, costruita a spalliera, alla città bassa è tutto un susseguirsi di stradine strette e tortuose punteggiate dalle variopinte facciate che si stagliano a strapiombo sulla riva dando vita a un pittoresco paesaggio.
C’è molta gente e caos ed è ora di pranzo. Decidiamo quindi di andare sull’altra riva, Vila Nova de Gaia, dove ci sono le cantine. Passiamo per il ponte Dom Louis attraversandolo per il piano basso. Giunti dall’altra parte, decisamente più vivibile, man mano che passiamo davanti alle caves raccogliamo informazioni.
Passeggiando sulla riva notiamo le antiche imbarcazioni per il trasporto delle botti di vino Porto, i barcos rabelos.
A pranzo mi immolo alla Francesinha cioè il piatto simbolo di Porto: ha la composizione di un sandwich o meglio di due fette di pancarré ma talmente imbottite e insalsate che non si può mangiare senza piatto e posate. Contiene diversi tipi di carne, chourico (insaccato portoghese) e prosciutto crudo. Poi ricoperte con formaggio fondente e gratinate Il tutto affogato nella salsina agrodolce fatta con birra, piri-piri (una sorta di tabasco tipico del Portogallo) e un goccio di vinho do porto.
Per dare meglio l’idea di cosa si tratti aggiungo degli aggettivi: ricca, mastodontica, colesterolosa, strabordante, portentosa, mostro calorico. Fortunatamente (o no!) la mia è la versione leggera cioè senza uovo fritto sopra e senza patatine affogate nella salsa di pomodoro. Cerchiamo poi la compagnia di navigazione per la crociera dei sei ponti e decidiamo di acquistare il pacchetto crociera dei 6 ponti + cantina. Scegliamo la cantina Calem e decidiamo di fare subito la crociera: si passa sotto i sei ponti e si vedono le due rive del fiume, vi è una audio guida in innumerevoli lingue.
Il museo della cantina è molto interessante: ha una parte interattiva che sorprende. La mappa della Valle del Duoro è un plastico su cui vengo proiettati dei pattern e dei colori per spiegare le temperature, il terreno, il corso del fiume, l’area vitata e così via.
Oltre ai pannelli descrittivi vi è poi una parte sensoriale: vi sono i colori delle varie tipologie di porto e una parte dedicata agli aromi. Praticamente è una riproduzione in scala del nez du vin che volevo acquistare! Comincia poi la visita, naturalmente in inglese. Non è una spiegazione molto tecnica ma ripaga la degustazione finale dove assaggiamo un fine white e un reserva ruby decisamente buono! Inutile dire che ci dà il colpo di grazia … visto che abbiamo attinto oltre ai bicchieri a noi dedicati anche a bicchieri che giacevano nella terra di nessuno.
Rimane ancora una parte abbastanza vasta da visitare dall’altro lato del fiume ma stanchezza, caldo, vino porto e salita hanno la meglio e ritorniamo in albergo per poi uscire a cena. Praça da Poveiros è punto di riferimento per cibo e bevande. Vi sono infatti molti locali stracolmi. La piazza è dedicata ai pescatori portoghesi che hanno vissuto in Brasile e si opponevano al governo brasiliano, quando questo li costrinse a naturalizzarsi cittadini brasiliani nel 1921.
Ultimo giorno in Portogallo, bisogna assolutamente assaggiare dei piatti tipici. Quindi bacalhau sì! Prendiamo due bachalau á brás, ossia gustosissimi filetti di baccalà e patate legati da uova, prezzemolo e cipolla. Buono e particolare, accompagnato da una caraffa di Sangria! Proviamo anche dei dolcini! Chiediamo a Pedro di portarci due tipicità di Porto: Toucinho do ceu, che letteralmente significa “pancetta del cielo” è praticamente una deliziosa torta di mandorle portoghese originaria della regione di Guimarães del Portogallo. Viene tradotta in questo modo perché si utilizza il lardo di maiale per fare la torta e in secondo luogo perché è incredibilmente deliziosa. È uno dei dessert portoghesi più popolari e tradizionali
Il secondo dolce è il Bolo de bolacha, cioè la torta di wafer anche questa tipica portoghese.
Stamani si ritorna alla nostra pasticceria di fiducia e questa volta sono preparatissima! Ordino i Pasteis de nata, i dolcetti portoghesi più famosi nel mondo: piccole tortine di sfoglia ripiene di tuorli, zucchero e panna, insomma crema pasticcera!
Poi vedo portare ad un tavolo un prodotto a strati già visto ieri di colore panna di cui non capisco né la consistenza né la composizione. Il mio adios al Portogallo non può avvenire con questo rimpianto, chiamo la ragazza e le chiedo il nome dell’oggetto dei miei desideri: “Torrada” dice lei, “va beh senti portamene una” dico io. La torrada altro non é se non una fetta di pan carré (pão de forma) un pó piú spessa del normale, tostata e successivamente insaporita (leggi: imbevuta) con manteiga, ovvero burro. Ma questa è divinamente estatica nella sua meravigliosa semplicità!
Solitamente viene accompagnata da galão, bevanda calda normalmente fatta con 1/3 di caffè e 2/3 di latte rigorosamente servita in bicchieri grandi di vetro. Io però la accompagno con un super espresso.
Leila ci aspetta nel suo mantello nero. Andiamo a caricare i bagagli e via. Un salto alla HD di per le classiche magliette ricordo
Prendiamo la statale N13 fino a Villa do Conte. In realtà non conviene: non è sul mare e passa in mezzo ai paesi ed è molto trafficata (fatta di lunedì tra le 12/13). Meglio percorrere l’autostrada e uscire in prossimità delle spiagge che si desiderano vedere. Teoricamente tra Porto e Ofir ci dovrebbero essere quasi 40 km di spiagge ininterrotte. Comunque oggi il tempo è sfortunatamente uggioso.
Alle 13:18 decidiamo di fermarci alla Praia di Ofir, è una delle più famose di questa zona che ci dà un assaggio delle peculiarità delle spiagge dell’oceano: immense distese di sabbia punteggiate da cubi colorati con il tetto a piramide! Gli ombrelloni dell’oceano dove i bagnanti si difendono dal vento freddo. Arriviamo con il piumino, fa freddo e c’è la nebbia, manco si vede il mare, eppure in spiaggia c’è un sacco di gente. Io starei in casa a bermi una cioccolata.
Ebbene sì, c’è una differenza enorme tra il mare e l’oceano: il fatto di essere entrambi vaste distese d’acqua salata non serve. Il mare è confinato, il mare ti accoglie, il mare ti rinfresca. L’oceano racchiude tutti i mari, è sconfinato e lo puoi solo contemplare e perderti nella sua malinconica infinità. Si prende un panino su una bella terrazza in legno sulla spiaggia
Ripartiamo: ricordiamoci l’orario del traghetto e il fuso orario. Puntiamo su Viana do Costello per l’ultimo caffè in Portogallo. Purtroppo all’entrata del paese c’è un traffico infernale. È tardi e il fuso non aiuta. Rinunciamo al caffè: dietrofront e a tutta birra al traghetto tramite autostrada senza nemmeno poter contemplare eventuali altre soste.
Come è potuto succedere non so, visto che Porto dista da Viana solo 78 km.
Eccoci finalmente in Galizia dove alle 10 del mattino è ancora alba e alle 11 di sera si assiste al tramonto, l’Unione Europea ha fatto sì che non ci sia fuso orario, che però di fatto qui c’è, di almeno un’ora abbondante. La Galizia è la patria dei frutti di mare. Tutti questi mi sembrano degli ottimi presupposti. La sua diversità sta nel suo ricco passato preromano durante il quale fiorirono diverse culture tra cui quella dei Celti.
Traghetto alle ore 18.30. Presentarsi all’imbarco 15/30 minuti prima per ritirare le carte d’imbarco.
Ore 17:40 arrivo al parcheggio da cardiopalma: come funziona sto parcheggio? È quello del supermercato! Chiediamo ad una ragazza che fortunatamente ci dice di andare al secondo piano seminterrato dove c’è il guardiano.
Arriviamo alla guardiola ma non c’è nessuno. Nel frattempo io comincio a fare le valigie cioè svuoto istericamente la borsa laterale che contiene il pacchetto “notte sulle isole”. L’addetto arriva. Quando gli diciamo che vogliamo lasciare la moto due notti non mi sembra molto convinto. Dice che di notte non c’è nessuno ma il parcheggio è sorvegliato da telecamere monitorate. Gli chiediamo dove mettere la moto. Prima ci indica un posto, poi ce la fa spostare vicino ai bidoni dell’immondizia dove è monitorata dalle telecamere. Non c’è il tempo per procedere a una valutazione di rischio / sicurezza. Io termino la composizione bagagli al buio e così scoprirò sull’isola di non avere il mio sacco lenzuolo che quindi avrà occupato inutilmente lo spazio per quindici giorni.
Usciamo dal parcheggio e non sappiamo bene da che parte andare. Per me era tutto dritto ma pare che ci sia il cantiere navale e così sbagliamo strada, saranno 200 m ma con sti bagagli, con sto caldo e con sta furia diventato chilometri. Già perché il cielo è stato nuvoloso a sufficienza per nasconderci i panorami e poi ha deciso di scaldarci quando non serviva.
Trovato l’imbarco del traghetto mi rilasso. Accanto a me c’è un personaggio particolare seduto su delle casse ricoperte di velluto nero circondato da una gabbia con un coniglio, un’altra con una colomba, teli dorati e naturalmente un cappello! Un mago. Io e Enrico scherziamo ricordando un mago che avevamo visto a Remedios (Cuba).
Arriviamo sull’isola, sbarchiamo e vediamo arrivare una jeep con lo stemma del campeggio. Chiedo alla signora se è per caso un servizio trasporto. Lei molto gentilmente mi dice che serve per portare alimenti e attrezzi per la gestione del campeggio ma di aspettare che in caso rimanesse posto, possiamo caricare i nostri bagagli. Il mago comincia a caricare i suoi strumenti e così la signora ci dice che anche lui è italiano! Anzi ancora meglio di Massa! La signora poi ha sposato un siliciano! siamo ovunque! Ringrazio e le dico che possiamo cavarcela.
L’isola è minuscola dove sarà mai sto campeggio? Sta esattamente lì, l’ho visto sulla mappa! La realtà distrugge passo dopo passo le mie convinzioni. Trattori che caricano bagagli, salita che si inerpica, gocce di sudore che si moltiplicano. Già perché il campeggio sta esattamente lì in linea d’aria come avevo visto sulla mappa ma ad un dislivello di 120 m. Ecco a cosa servono i colori nelle mappe! Ad un certo punto arriva la Jeep guidata da Ms Ons che si ferma nonostante abbia il pianale stracolmo (perché qualcuno ha aspettato per caricare e non era italiano) e il mago Alex carica i nostri bagagli che in bilico cambiano posizione ad ogni balzo delle ruote che si plasmano al terreno disconnesso. Io vedo già la mia bottiglia di Ribera del Duero andare in frantumi e colorare di rubino i nostri esigui vestiti.
E accidenti a me quando non ho voluto spendere quei 15 € in più (in due) per la tenda già montata! Stremati arriviamo finalmente al campeggio: vi adoro Mago Alex e Ms Ons, vi auguro ogni bene da qui e per tutta la vostra vita! Il sole è ancora alto, cominciamo ad accomodarci nella nostra piazzola, dal cielo i gaviota ci danno il benvenuto.
La piazzola però è molto terrosa, quindi posizioniamo gli articoli del nostro enorme bagaglio, appesi alla staccionata e a un filo che tendiamo tra due fragili alberelli ma chissà perché il nostro è l’unico filo tra gli alberi? Appena siamo pronti un ragazzo ci si avvicina e ci dice che non si posso usare gli alberi: a loro ieri hanno gettato a terra tutti i panni stesi!
Bon quindi? Chiediamo se ci possono dare un’altra piazzola ma la bimba della reception va in difficoltà perché dice che il campeggio è full, in realtà c’è un sacco di spazio perché le piazzole sono enormi ma non sembrerebbero frazionabili come da noi, in Italia, in base alla grandezza della tua tenda. Questo penso sia dovuto al fatto che le presenze sull’isola sono contingentate. Ma in realtà io la storia della parcela e della acampada non l’ho mai capita: Sonia dell’agenzia mi diceva che la prima è un’area dove sta solo la mia tenda e i prezzi sono più alti dell’acampada che varia in base alla misura della tenda… ma io ho prenotato un’acampada dove non ci sono altre tende. Fortunatamente riusciamo a farci assegnare un’altra postazione.. in una zona di passaggio ma almeno non ci inzaccheriamo.
Siamo sistemati. Il vento ghiaccio ci obbliga ad indossare dapprima le maniche lunghe e poi il piumino. Ci guardiamo amorevolmente negli occhi e concordiamo in silenzio che stasera si dormirà zozzi perché farsi la doccia con quel freddo e ridursi come al camping in Corsica non ci passa nemmeno per la testa. E si dormirà pure con il piumino, bello il mi’ 100gr., ha cambiato la mia vita!
Come da copione alle 22 c’è ancora luce!
Decidiamo di mangiare al camping per dare il colpo di grazia al Tempranillo sopravvissuto al trasporto ma rinunciamo a metterci in zona visione spettacolo di Alex perché fa troppo freddo quindi ci mettiamo in una zona riparata dietro di lui dove però saremo costretti a passargli davanti durante lo spettacolo per ordinare e ritirare la cena.
Alex è proprio bravo, non solo per le magie ma anche come intrattenitore, ma il coniglio dove è finito?
Purtroppo anche la mattina di ferragosto il tempo è nuvoloso: mi ricorda i due giorni di mare in Croazia, e anche i due giorni di mare nelle Marche.
Lascio riposare Enrico e vado a fare colazione. Ordino quello che riesco cioè un caffè, che però arriva “solo” senza espresso e una brioche con burro e marmellata. Ma che è sto “solo”, che tutte le volte che dico caffè espresso loro mi chiedono “solo?” e allora ho provato a dire solo “solo”… da qui poi le cose si complicheranno perché non sarà più solo spagnolo ma anche galiziano, un po’ come italiano e bergamasco. In realtà questa situazione accomuna tutte queste terre: il castigliano, cioè lo spagnolo, è per molti una seconda lingua sostituita da quella locale. Solo la Cantabria è assolutamente monolingue.
Dissertazione sul caffè.
Café solo: vuol dire senza niente altro; cioè senza mille altre cose a piacimento che si possono aggiungere. Andiamo alle spiagge più vicine, saltiamo la prima (area dos cans) dove però adocchiamo una copia di gato rojo e passiamo alla spiaggia successiva (playa de Canexol) e si farà una dormita.
Per fortuna dopo un po’ il sole fa capolino, e sorprendenti considerazioni hanno il sopravvento:
1) l’ombrellone non aveva un peso eccessivo: meglio inutile in spiaggia che utile al campeggio
1) l’inutilità di stenderti sulla cipria e avere a due passi un mare così bello ma non poterlo abbracciare…
2) il fenomeno delle maree che serve principalmente a ridurre la quantità d’acqua in modo che da ghiaccia marmata diventi ghiaccia e tu ti possa bagnare i piedi. Non ho visto in tutta la vacanza qualcuno fare il bagno nell’oceano.
Verso le 14:30 decidiamo di ritornare al campeggio percorrendo la ruta Sur, di cui abbiamo già fatto un pezzo stamani. Un cammino di circa 6,2 Km e un dislivello di 86 m (che quindi dovrebbe essere più dolce che ritornare al campeggio via strada). Naturalmente il sole ci bacia e fa caldo ma il percorso è molto bello e con fantastici scorci. Arrivati al campeggio Il faro è vicinissimo ma magari la prossima volta!
Si fa subito doccia in modo da anticipare il gelido vento oceanico ed essere già calati nel piumino e nei calzini al suo arrivo, tié
Scendiamo in paese dove ci sono tre ristoranti che non prendono prenotazioni, ma prima andiamo a farci un ape al Chiringho. La Location è stupenda: un’area verde con tavolini e ombrelloni affacciati sulla praya Area dos Cans e una baracchina in legno con i gaviota in concerto.
Cena: polpo come se non ci fosse un domani Le specialità della Galizia sono il ‘Pulpo alla gallega’, il ‘Caldo gallego’ sorta di zuppa di pesce molto liquida, l’empanada gallega’ una specie di focaccia ripiena di tonno e altro, i frutti di mare in genere.
La Isla de Ons è l’isola del polpo: è lui infatti il protagonista della gastronomia dato che i loro pescatori si sono distinti in questa pesca da tempi immemorabili. Pulpo en caldeirada, ricetta che unisce due ingredienti tradizionali dell’isola: il polpo appunto e le patate, innaffiati con una salsa a base di olio, aglio, cipolla e paprika che ci viene servito su un tagliere tondo in legno.
Pulpo a feira: accompagnato da cachelos cioè pezzi di patata al forno. (In alcuni casi può essere accompagnato da cipolle alla griglia con fagioli su empanada o crocchette)
Alba o non alba .. stamani sono le 9:34 e sole splende nel cielo. C’è però un’umidità pazzesca, è tutto bagnato. Vado a fare colazione al bar e osservo i tavoli (questo ciacciare è ottimo per cogliere usi e costumi). Qui sono tutti spagnoli e qualche portoghese. Noto che la gente si fa di pomodoro la mattina e scopro la Tostada con tomate: pane arrostito con strascicato sopra un pomodoro che poi condisci con olio, sale e pepe a gradimento!
Si salta sul traghetto! Guardo le isole che si allontanano e in lontananza vedo le Cies: luogo splendido e di rara bellezza, le cui spiagge di sabbia fine e bianca bagnate da acque cristalline vengono annoverate da The Guardian come prime nella top ten mondiale. Attracchiamo. Mi apposto all’ombra mentre Enrico va a ritirare il destriero tradito, alle 11:53 è di nuovo con noi.
Occupiamo un po’ di tempo a riassettare i bagagli e partiamo. Le alternative per raggiungere Santiago sono essenzialmente due: via interno oppure via costa per visitare ancora qualche luogo delle spettacolari Rias Baixas che, dice, sono più calde rispetto al nord della Galizia. Ci dirigiamo verso Ogrove, situata all’ingresso della ría di Arousa che, se non fosse per il tombolo della Lanzada, sarebbe ancora un’isola. Visto che si farà pausa pranzo e OGrove è conosciuta Internazionalmente per la sua gastronomia, ci pare la meta migliore. Percorriamo il tombolo ma purtroppo non riusciamo dalla strada ad avere uno scorcio della spiaggia della Lanzada perché separata da dune e vegetazione erbacea. Infatti per raggiungere la spiaggia bisogna percorrere delle lunghe passerelle in legno. Questa spiaggia di sabbia bianca e fine, aperta verso l’Atlantico e quindi conosciuta per la pratica surf o il windsurf, è lunga oltre due chilometri.
Prima di lasciare Ogrove facciamo un giretto sull’isoletta di fronte, A Toxa, qui chiaramente il target è facoltoso: non solo le ville ma lo stabile di sorveglianza all’entrata dopo il ponte, la dice lunga. Da una isola all’altra: un passaggio sull’isola di Arousa. Troppo veloce per scoprirne la rinomata pace e la vergine Area de Secada ma bello abbastanza per percorrere il lungo ponte che la collega alla terra ferma.
Ripartiamo per Santiago dove arriviamo verso le 18:15.
Ci incamminiamo per il centro e quando arriviamo ce ne rendiamo conto: un insieme di corpi umani che si scambiano braccia, gambe e teste. Io non sono molto ispirata da questa sedicente cittadina spirituale. Il cammino di Santiago, che è sempre stato un progetto vivo nei miei cassetti, si è rivelato una delusione. Molto, troppo business nei luoghi visitati fino all’apoteosi del surreale di questa città: non si respira nemmeno una briciola di quanto si percepisce ad Assisi. La Spagna è zeppa di cammini, ma alla fine pure il mondo. Se non hai bisogno di riempirti la bocca e l’ego sulla tua pagina Facebook, il senso del tuo percorso lo puoi trovare ovunque.
Arriviamo alla Cattedrale che però è in ristrutturazione e quindi la facciata è oscurata da ponteggi e coperture. Girelliamo tra le stradine: dicono che il suo cuore medievale la renda una delle più belle città di Spagna. A me questi edifici usurati dal tempo ricoperti di licheni non mi entusiasmano un gran che.
Il tempo di essere pervasa dalla vitalità di questa città e sono costretta a cambiare idea: direi che questo luogo è ottimo per divertirsi e per dedicarsi alla gastronomia.
Cominciamo a girellare tra stradine e piazzette: in questo mese si tiene un festival di band minori che suonano in giro per la città. Arriviamo in Praza de Cervantes dove stanno allestendo per un primo concerto, dovrebbero essere secondo il programma i Komodo Rock, blues funk: continuiamo sulla strada e arriviamo a Rua de Xelemeirez, nella parte alta: stanno suonando i Zume de Miolo (punk Rock). C’è una bella atmosfera: le persone si accomodano dove riescono e sorseggiano birra a ritmo di musica
È ora di cena: cominciamo con i Pimientos de Padron Empanada cioè i peperoni verdi dolci fritti nell’olio e il tortino a crosta sottile. I pimientos meritano un capitolo a se perché io mi sono letteralmente invaghita di questo piatto così semplice ma così goloso che me ne sfinirei.. Questi piccoli peperoni verdi fritti vengono serviti ricoperti da granelli di sale grosso e sono una goduria! Noi pensiamo di aver scoperto l’America per poi venir subito ridimensionati al nostro ritorno in Italia: “Ma si li faceva pure nonna! sono i friggitelli in padella !” Ma come è che non si sono mai mangiati? I friggitelli, o peperoni friarelli, sono una varietà di peperoni nani di colore verde e dal sapore dolce tipica del centro-sud Italia! Come si può evincere dal nome, questi ortaggi vengono solitamente fritti in padella e tradizione vuole che i friggitelli vengano cucinati col picciolo in modo da poterli mangiare con le mani, finger food insomma!
Non soddisfatti ordiniamo i Rixons con queixo fundido Arzua Ulloa, praticamente dei ciccioli con formaggio di Arzua Ulloa (latte vaccino delle razze bovine locali) fuso e un piatto di formaggio di capra.
Decidiamo di fare un salto per vedere la Cattedrale all’interno. Io in realtà vorrei vedere anche il mercato de Abastos, visto che oggi corrisponde al giorno di mercato! Adoro i mercati. Ma soffoco l’idea e nemmeno l’esprimo. La Cattedrale è soffocante, pullula di gente e c’è frastuono, sembra di stare in un mercato (eh eh)… non vi dico che fila c’è per andare ad abbracciare la Statua di Santiago e per la cripta.
L’unica cosa che mi ha colpito è il botafumeiro che è in grado, solo durante speciali funzioni, di oscillare descrivendo un arco di 30 m: lo utilizzavano per fumigare i pellegrini inzaccherati! Oggi destinazione La Coruna via Finisterre e poi le dune e i promontori frastagliati della costa da Morte, zona poco considerata dal turismo di massa sia per il clima che per le infrastrutture. Ci dirigiamo quindi verso Muros e poco fuori questa località, una deviazione ci conduce fino al faro di Louro, situato a 241 metri sul livello del mare: una bella vista sull’accesso alla ría di Muros e Noia, sulla Serra da Barbanza e anche su Corrubedo.
Passiamo Lira (senza però vedere l’horreo più lungo di tutta la Galizia cioè 34m!). Poi arriviamo a Carnota.. non vediamo la spiaggia eletta come una delle migliori cento del mondo dalla rivista tedesca Traum Strände. Ma ci ritroviamo nel ristorante che verrà eletto come migliore di tutto il viaggio. I miei appunti dicono che in questa zona il piatto di polpo con le vongole può diventare un’esperienza unica… e così sia. Il piatto tipico locale, vongole e polpo, viene servito in una pirofila tonda appoggiata su un sottopentola in vimini e portato a tavola che sta ancora friggendo. E’ un piatto unico, assolutamente divino, da non perdere. Poi Cannolicchi o meglio cannolicchioni! Mai visti così grandi e mai provati di così gustosi con quel retrogusto tipico da cottura su piastra. Io devo assolutamente assaggiare questi famosi percebes che inizialmente non so neppure come mangiare. Vedendo però un’”unghia” sul pavimento comincio a capire qualcosa in più. Questi crostacei assomigliano infatti ad una piccola zampa munita di estremità ungulate. Praticamente si spezza quella specie di unghia e ci si ritrova attaccata ad essa un tubetto di polpa compatta che è mare allo stato puro: rifinger food! Sono crostacei cirripedi, raggiungono una lunghezza di pochi centimetri e sono dotati di un piede “arricciato” con cui riescono a catturare il loro nutrimento, per lo più plancton e uova di pesce. Potrebbe sembrare che il costo di questo piatto sia eccessivo ma la loro raccolta è molto rischiosa e faticosa: il percebeiro munito di muta si cala lungo la scogliera con corde assicurate alle rocce e li raccoglie con una specie di scalpello metallico. Io quindi procedo spezzandoli con le dita, Enrico invece con la forchetta e poi chiede al cameriere come si mangiano: lui lo guarda e scuote la testa e poi ci dà una dimostrazione pratica… si fa con le mani!
Io trovo che questo piatto con un buon bicchiere di vino bianco sia ottimo come aperitivo in riva al mare !
Procediamo lungo la magnifica costa verso Finisterre e raggiungiamo il Faro. Oggi c’è solo una leggera foschia, non so se sia fortuna o meno dato che si dice che quando è avvolto da una fitta nebbia sia un luogo magico.
C’è una lunga fila di auto in coda per arrivare alla sommità e il parcheggio è pieno. Noi in moto ce la caviamo bene e abbiamo anche un parcheggio dedicato. C’è tanta gente, anzi troppa e un paio di negozietti di souvenir. Si scattano le foto di rito. Sono già quasi le 18 quindi decidiamo di abbandonare la costa della morte e raggiungere tramite la strada più veloce l’estrema propaggine occidentale della Spagna. Prendiamo l’autostrada e arriviamo A La Coruña.
L’impatto non è entusiasmante, sarà il cielo uggioso, sarà l’entrata dell’hotel, sarà il parcheggio; man mano che ci avviciniamo al centro la nostra prima impressione su A Coruña migliora. La spiaggia di Riozor collegata a quella di Orazon formano una mezzaluna lunghissima di sabbia. Siamo sul lato Atlantico: andiamo verso l’interno per vedere l’altro lato di questa stretta penisola dove vi è la zona del porto.
Passate le alte facciate a vetrate tipiche di questa città ci troviamo nella meravigliosa piazza principale, Maria Pita dove cerchiamo un ristorante. ½ porzione di polpo con patate: morbido e saporito, ½ porzione di cozze marinate, 1 di zamburinas cioè delle capesante mignon. Vengono cucinate alla griglia e servite con olio e spicchio di limone, Questo piatto merita una certa attenzione dato che è la prima volta che lo assaggiamo. Sono ottime con quel retrogusto di griglia che abbiamo trovato anche nei cannolicchi. Essendo l’ultima sera in Galizia ho dovuto assolutamente assaggiare l’Albarino, vitigno bianco e omonimo vino che ben si sposa con l’infinita varietà di mariscos galiziani. Soprattutto la sua vibrante freschezza ben si sposa con la succulenza del burro del polpo e la spolverata dolce di paprika. Sono le 23.30 e si potrebbe tornare a casa ma io una capatina alla città vecchia la voglio fare così trascino Enrico su per la scalinata e le strette vie che si dipanano intorno alle chiese romaniche sono molto suggestive.
Ci fermiamo in un bar per un caffè. Sembra il tipico bar di paese con i “vecchi” seduti ai tavolini all’aperto. Il locale all’interno è deserto, anche il titolare è seduto fuori! Però c’è la musica a palla che proviene dal video di un concerto proiettato su un maxi schermo. Noi ordiniamo un caffè il barista comincia a chiacchierare senza un domani, naturalmente in spagnolo.
Ci racconta del video: si tratta del “Concierto de los Mil Anos” . E’ fiero e orgoglioso che quel concerto epocale si sia svolto nella sua città e che lui stesso nel luglio del 1993 era presente allo Stadio Riazol. Beh in effetti non ha tutti i torti ! in questi tre giorni hanno suonato i migliori di sempre, tutti insieme, tanto che gli spettatori venivano da ovunque e avevano saturato talmente la città che era permesso accamparsi sulla spiaggia! Bob Dylan, Robert Plant, Neil Young, The Kinks, Chuck Berry, Wilson Pickett, Jerry Lee Lewis, Sting, Chris Isaak, George Benson, John Mayall, Eric Burdon, Bo Diddley!
Stamani itinerario costa e il tempo è di nuovo uggioso. Sono un po’ di giorni che il tempo fa i capricci ma non bisogna dimenticare che la Galizia è terra di nebbie e di leggende…
Abbiamo come tempo di riferimento le As Catedrais per le 19.30 quindi possiamo spaziare come ci pare sulla costa. Scegliamo alcune tappe strada facendo, sempre con molta confusione perché il navigatore tende a farci fare le strade veloci mentre noi vorremo fare la litoranea che comunque esiste parzialmente quindi diventa difficile “incappare” in vedute dove soffermarsi ma bisogna proprio andarle a cercare! Cerchiamo la spiaggia di A Frouxeira. Arriviamo all’accesso che quasi piove ma comunque non demordiamo e ci incamminiamo sulle passerelle di legno che collegano la strada asfaltata alla spiaggia attraverso le dune erbose. La spiaggia è lunghissima e la sabbia oggi appare dorata a causa del cielo plumbeo…Non è raro trovare il mare impetuoso e forti venti, l’oceano si infrange con forza sulla scogliera.
Passiamo per Cedeira: il paesino è carino ma ancor più gli abitanti! Infatti durante una sosta per impostare il navigatore, il mio sguardo viene catturato da un plastico enorme in una vetrina. Un signore mi si avvicina e mi racconta, naturalmente in spagnolo, (o in galiziano?) E a nulla serve che io gli dica che non parlo la lingua, avrà pensato “vabbeh non la parli ma capisci”. Mi racconta che il plastico è quello del santuario di Santo André de Teixido fatto da un suo amico. Mi dice che ci dobbiamo andare. Poi mi racconta di lui che è sempre stato un percebeiro, non per la vendita, ma solo per la sua famiglia e per i suoi amici. Ha vinto anche dei premi. Dice che una volta al mercato del pesce si poteva entrare durante le aste poi sono successi dei tafferugli e ora non si può più. Tante sfumature del discorso le ho sicuramente perse e per questo mi spiace un sacco quando non conosco la lingua dei luoghi che visito.
Il monastero lo saltiamo… visto che anche il cielo non aiuta e ci dirigiamo verso Cabo Ortegal.
L’ultimo tratto di strada è tortuoso e panoramico. Cabo Ortegal è nulla più di un faro in fondo ad un promontorio verde scoscesissimo, bellissimo, raggiungibile con attenzione, dove il contrasto tra il gelo dell’oceano e il caldo dell’aria genera nuvole di vapore freschissimo.
La torre cilindrica dipinta di bianco e rosso si staglia contro un cielo azzurro macchiato di nuvolette bianche mentre la sua guglia si perde dentro un minaccioso cappello nero. Istanti di meraviglia in cui il nostro sguardo si perde all’orizzonte e al ritorno si posa sugli Aguillóns, dei grandi scogli che emergono fieri vicino al capo e che tra poco saranno protagonisti di uno spettacolo impressionante e di rara potenza… ma noi non possiamo attendere la tempesta. Solo attimi di piacere minacciati da gocce che scendono da un cielo che diventa sempre più basso e dal pensiero di quella strada che la nostra Leila non ama.
Proseguiamo per Espasante. Sembra di cercare l’isola che non c’è, si va avanti e indietro senza levarci le gambe e si litiga.. Tra i deliri di stradine che il navigatore confonde una con l’altra si imbocca la CP-6102 che finisce sulla Spiaggia di Bimbiero, sicuramente un luogo ameno con il bel tempo e un cestino da picnic. Alla fine si arriva: la mappa dice che siamo al porto di Espasante esattamente di fronte a Carino ma a ben 24 chilometri! È un paesino per nulla turistico che si affaccia sulle spiagge: da un lato San Antonio e dall’altro A Concha.
È tempo di avvicinarci alle famose As Catedrais ovvero la spiaggia di Augas Santas. Per camminare sulla spiaggia e vedere quindi queste conformazioni dal basso è necessario innanzitutto informarsi quando vi è la bassa marea e poi chiedere un’autorizzazione on line. Vi è anche la possibilità di aderire a delle visite guidate gratuite ma purtroppo non c’era più posto. Per avere maggiore elasticità sul programma ho richiesto un’autorizzazione per questa sera e una per domani mattina. Ma senza dubbio meglio farlo ora perché domani mattina significherebbe alzarsi molto presto.
La tabella delle maree si legge in questo modo: la colonna “bassa marea” (bajamar) indica il momento in cui la marea smette di ritirarsi e l’acqua è più lontana dalla scogliera. L’altra colonna indica l’altezza in metri che il mare raggiungerà. Più vicino è a 0, più bassa sarà la marea, rendendo i giorni migliori per visitare la spiaggia. Le maree più basse si verificano attorno alla luna piena.
Quindi consigliano di iniziare la visita un’ora prima della bassa marea e dirigersi a destra dopo aver sceso la scala. In questo modo, quando arriva la marea la parte più importante del percorso è già stata percorsa: infatti l’area più a est del percorso è quella che impiega più tempo per emergere quando il mare si ritira e la prima che si sommerge quando ritorna.
Tutto questo studio mi porta a decidere che il tempo migliore per visitarle sia alle 19.30.
In Spagna non troveremo molti parcheggi dedicati alle moto e in prossimità dei centri delle città come avviene in Italia e questo cozza tremendamente con la sensibilità di guida degli automobilisti spagnoli nei confronti dei motociclisti.
Ci dirigiamo verso l’entrata dove mostro orgogliosa il nostro permesso e scendiamo.
È una meraviglia! Peccato il cielo uggioso! Il nome “Cattedrali” è dovuto alle caratteristiche formazioni rocciose ad arco, alcuni di esse fratturate dall’intensa forza del mare. Questa spiaggia cela numerose caverne, dove il mare batte con forza alla ricerca di un’apertura sempre più grande. Ciò che mi colpisce di più è vedere le distese di cozze e perceibes aggrappati agli scogli che attendono il ritorno del mare.
Tappa per la notte a Ribadeo, scelto solamente per la logistica. Altro ristorante e nuovi piatti da assaggiare. Ca va sans dire che ci prendiamo un polpo alla piastra visto che è l’ultima cena in Galizia! Mi faccio spiegare il piatto “ortiguillas”: sono le ortiche di mare fritte. Piatto tipico del sud. La cameriera mi consiglia di prenderne mezza porzione così le assaggio! W le mezze porzioni. Bene, allora ci aggiungo mezza porzione di calamaretti fritti! Stasera vino! Vorrei assaggiare il Godello (così dicevano i miei appunti da sommelier). La cameriera mi consiglia il Ribeiro servito alla maniera gallega. Vale! Insieme alla jarra colma di vino arriva un oggetto quasi totemico ed a noi ancora sconosciuto: la cunca ovvero una tazza in ceramica bianca che va tenuta con la mano aperta! Ganzo! Ma da dove viene questa usanza? Una delle possibili ragioni è che il Ribeiro vino conteneva una grande quantità di eteri volatili che producono il mal di testa ed emicranie e le “scodelle” ne favorivano l’evaporazione.
Al mal di testa ci pensiamo domani per ora godiamoci questo cibo prelibato accompagnato da questa immagine iconica di taverna Galiziana. Ogni volta si ripete lo stesso copione: più mangiamo bene più non finiremmo mai, eccoci quindi pronti ad un bel finale con una porzione di tortilla cameron, altro piatto del sud, ovvero frittelle di gamberetti di Cadice.
Facciamo colazione al bar dell’hotel e ci prepariamo per lasciare definitivamente la nostra amata Galizia e dirigerci nelle Asturie. Il primo impatto non sarà molto accogliente: sarà che il popolo ha ereditato anche il carattere degli irlandesi (perché gli irlandesi sono chiusi? Non so, è una mia idea che più si va al nord più il clima poco favorevole chiude gli animi) O saranno le montagne? Gente di poche parole tipo gli orobici? Ma la Galizia condivide un territorio simile ma che differenza! Allora forse sarà dovuto al suo isolamento durato secoli in quanto unica oasi cristiana mai conquistata dagli arabi.
Comunque ultimamente la sua Costa Verde sembra prender piede nel turismo e forse ci sarà una svolta caratteriale. Le Asturie sono popolari soprattutto per il loro entroterra montuoso sul quale svettano le alte cime dei Picos de Europa che noi valicheremo!
Anche stamani non splende il sole quindi le cappatine alle spiagge lasciano il tempo che trovano. Decidiamo di andare a fare una visitina a Cudillero, borgo di pescatori che la guida dice starebbe bene su un’isola greca.
Arrivati al porto c’è già un traffico infernale di macchine, procediamo e arriviamo al borgo vero e proprio, compresso in una stretta valle: le case color pastello sono erette una sopra l’altra su una ripida scogliera a ferro di cavallo. Mi ricorda molto i paesi delle cinque terre. Non è pedonale e quindi procedendo alla ricerca di un anfratto dove mettere Leila e ci incasiniamo nel traffico: le vie sono strette e facciamo anche fatica a girare la moto. Pedoni ovunque. Decidiamo che la visita è sufficiente e ci dirigiamo verso Oviedo, città borghese dalle sembianze anglosassoni intrisa di cornamuse e sidro.
Ci dirigiamo verso la via della sidra per il pranzo. C’è molta gente e ci fermiamo a un ristorante con tavoli disponibili. Qui, come nel resto dei ristoranti della via, i camerieri servono il sidro nella loro maniera caratteristica, versandolo dall’alto senza guardare nel bicchiere che reggono con l’altra mano in basso. Naturalmente fare centro è relativo e infatti c’è un gran puzzo di alcol perché molto ne va a finire a terra. La mescita del sidro è ad esclusiva cura del cameriere. Per cui quando il bicchiere è vuoto si fa un cenno al mescitore! Una coppia di spagnoli seduti al nostro fianco ci spiega che il bicchiere va vuotato in un colpo solo e se non si riesce quello che resta va rovesciato a terra. Ciaone! Il sidro non ci è piaciuto per nulla ma comunque era da provare. Facciamo un giretto per Oviedo vecchia e poi ritorniamo in sella.
Arrivati prossimità di Llanes inseriamo nel navigatore l’indirizzo dell’appartamento prenotato. Le indicazioni ci portano in una strada sterrata in mezzo al bosco… strano, ho controllato tutti gli alloggi con l’omino giallo di Google proprio per evitare queste spiacevoli situazioni. Incontriamo una signora e le chiediamo se da quella parte ci sono degli alloggi e se lo stato della strada peggiorerà. La signora ci risponde affermativamente e ci rassicura sulla strada che dice percorribile senza difficoltà. Dopo poco ci troviamo sull’asfalto in paese. Maledetto navigatore.
Cue è un paese strano: sembra popolato di Amish che ci osservano in modo stranito al nostro arrivo. Sembra pure al confine del mondo e invece è vicinissimo alla spiaggia e a Llanes, solo che è timidamente nascosto nella sua ristretta comunità che faticosamente accoglie il turismo e ne farebbe secondo me volentieri a meno.
La sera andiamo a cena a Llanes, naturalmente a piedi. Basta seguire la strada asfaltata oppure c’è una scorciatoia in mezzo al bosco (yes, quella fatta in moto). Passiamo davanti ad una vecchia villa che sembrerebbe abbandonata se non fosse per luci accese che pertanto le danno un aspetto ancora più lugubre.
Il centro è carino: un torrente fiancheggiato da ristoranti che scorre verso un porticciolo. Tutte le località spagnole hanno un fantastico denominatore comune che me le fa amare tutte, il cibo. Praticamente abbiamo mangiato egregiamente nella maggior parte dei ristoranti.
Ci alziamo di buon’ora! oggi Picos e il sole splende in cielo! Il programma è di fare un giro ad anello: Llanes è sulla costa, in mezzo… abbiamo deciso di fare in questo modo per impossibilità di trovare un posto per dormire sia ad inizio che a fine giro dato che questo è molto lungo! Passando due notti a Llanes (per gentile intercessione di Maribel) si allungherà di un pochetto la strada ma tramite autostrada il tempo perso sarà poco.
I Picos si estendono tra Asturie, Cantabria e Leon. È consigliabile fare il giro in senso orario per non arrivare troppo tardi a Fuente Dé ma noi come al solito siamo anarchici: non andremo comunque a Fuente Dé per prendere la funivia perché già così il giro dura 6 ore e la località non si trova sulla strada. Inoltre “voci” dicono che prendere la funivia senza poi fare un trekking non sa di molto. Da Llanes si va verso Ovest, troviamo le indicazioni per i Picos ma le ignoriamo: noi allunghiamo ancora un po’ per andare al Mirador del Fitu (48 km) dove ci fermiamo per ammirare il panorama.
Passiamo da Arriondas nei Picos occidentali. Una cittadina traboccante di canoe colorate che sporgono dalle strade un po’ ovunque a ricordare che in estate l’attività principale è scivolare sul Rio Sella. Cinque chilometri dopo si arriva a Cangas de Onis un tempo culla del nascente regno delle Asturie. All’entrata del paese vediamo il Puente romano a schiena d’asino dove è appesa una croce visigota. Poi è la volta del centro vero e proprio che pullula di gente e di negozietti straripanti di prodotti tradizionali: soprattutto sidro e i grandi fagioli bianchi che fanno da base a numerose ricette della gastronomia regionale.
Facciamo una piccola deviazione e andiamo a Covadonga, dove si trova una basilica neoromanica e una grotta con all’interno un santuario, meta di pellegrinaggio. L’idea iniziale era proseguire per i Laghi di Enol ma scopriamo, per fortuna prima, che in alta stagione la strada è chiusa alle auto e l’unica alternativa è salire con la navetta da Cangas de Onis (viste!) e quindi non ci avventuriamo.
Ritorniamo verso le 12.30 a Cangas de Onis, dove l’afflusso turistico è terribilmente aumentato, facciamo rifornimento e continuiamo il nostro giro lasciandoci lentamente alle spalle i Picos asturiani: le strade diventano piccine e tortuose. Dopo poco valichiamo il confine e siamo in Castiglia y Leon. Vediamo il cartello del Parco e ne approfittiamo per una foto ricordo. Arriviamo fino a Riano, anche se avremmo potuto prendere la LE2711 passando per la Posada de Vadeon addentrandoci nei Picos. Riano a 1.148 metri di altitudine con il suo lago artificiale offre comunque splendidi panorami anche se la storia di questo comune è piuttosto triste: il lago si è formato in seguito alla costruzione di una diga che inondò il vecchio villaggio che ora giace sommerso sotto il ponte.
Dopo aver costeggiato il lago proseguiamo verso la chiusura dell’anello andando verso i Picos Orientali. Valichiamo il passo di San Glorio a 1609 m e entriamo in Cantabria. Qui la strada si fa ancora più impegnativa con 21 km di discesa con pendenza del 40/60% . Passiamo per Vada e finalmente arriviamo a Potes: siamo sfatti e affamati. Località invasa da trekkers e visitatori domenicali, è piena di ristoranti turistici. Non c’è voglia di pensare ma solo di affondare le natiche su una sedia e riempire il nostro stomaco dato che sono già le 16.00 e stamattina la colazione non è stata molto abbondante.
Nonostante faccia caldo decidiamo di assaggiare dei piatti montani, solitamente consumati in inverno ma proposti tutto l’anno in virtù della loro tipicità. Insomma non propriamente leggeri. Il piatto principe è la Fabada cioè una densa zuppa di fagioli e diversi tipi di carne di maiale (morcilla, chorizo e prosciutto). Viene servita in fondini di terracotta. Poi del lombo e del capretto lebaniego, che prende il nome dall’omonimo cammino dei pellegrini.
Al termine, decidiamo di stenderci un pochino sul pratino della piazzetta dove stanchezza e vino hanno la meglio. Al risveglio decidiamo di fare due passi in questo pittoresco paesino medievale tanto per riprenderci un po’ prima di intraprendere la strada verso casa. Si fa un giretto nei negozietti per vedere i prodotti locali: vorrei tanto prendere il cabrales, uno dei più famosi tra i formaggi locali fatti a mano ma decisamente non si può! Posso però prendere la marmellata di vino tinto da abbinare ai formaggi! Rinunciamo invece ad assaggiare il prodotto più popolare della zona di Potes, ovvero un distillato chiamato Orujo, si tratta infatti di una grappa particolarmente forte (47 gradi).
Ora possiamo rientrare: sono già quasi le 19 ma ora la strada diventa facile e alle 20 siamo già nel centro di Llanes. Stasera ceneremo in paese con un piatto di cannolicchi, un piatto di sardine e un piatto di patate con formaggio cabrales fuso che sono uno spettacolo!
Sveglia al solito orario. Anche oggi splende il sole. Si parte in direzione Comillas. Invece di andare verso ovest come tutte le mattine andiamo verso est. Imbocchiamo la N-634 che scorre parallela all’autostrada ma non è una vera propria costiera, anzi a volte si allontana dal mare verso l’interno ancor più dell’autopista.
Le montagne aspre Asturiane lasciano il passo alle dolci colline cantabriche, di un verde molto chiaro… solo le mucche sono una presenza costante in tutto il territorio spagnolo! Arrivati a Comillas vediamo una struttura enorme, in stile neogotico, il Palacio del Sombrellano. Più avanti troviamo El Capricho di Gaudi e io non posso rinunciare ad una visita accurata. La villetta è ricoperta di piastrelle 10×10 che riproducono girasoli e foglie di girasoli, oppure hanno le tonalità del verde e del giallo, appositamente collocate per creare effetti cromatici davvero fantasiosi, secondo la provenienza della luce. Che spettacolo!
Saltiamo Santillana de Mar che dalle foto sembra proprio un gioiellino ma la frase “orde di turisti” sulla guida ci fa desistere e si va diretti a Santander.
Passando nella città, in direzione spiaggia El Sardinero, Santander mi appare come un centro balneare elegante, raffinato e borghese. La spiaggia, una delle diverse spiagge, è enorme. Si dice sia la più bella ed è circondata da un grande parco. C’è vento e il caldo non è tale da spingerti a fare un bagno, inoltre a noi le spiagge così non affascinano particolarmente. Siamo vicini al promontorio est dove sorge Il Palacio de la Magdalena circondato da prati e spiagge e quindi decidiamo di andare a fare un giretto. Purtroppo l’accesso è solo pedonale e per una questione di tempo rinunciamo.
Prima di lasciare la zona andiamo all’Hd Cantabria. Enrico fa controllare la moto ed è tutto ok! Già perché Leila quest’anno ci ha fatto seriamente pensare ad un piano B: a una settimana dalla partenza i suoi disturbi di allarme temperatura hanno cominciato ad aggravarsi e due giorni prima non aveva più voglia di camminare! Era una sciocchezza ma bisognava trovarla! Appena in tempo Enrico l’ha rimessa in sesto e non ha più fatto capricci! Sembrava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta!
Pronti per la tappa finale: visitare Bilbao prima di andare in hotel è impossibile quindi puntiamo direttamente su Gordexola.
Eccoci finalmente nei Paesi Baschi. Ongi Etorri! È questo il cartello di benvenuto che ci annuncia di essere entrati in territorio basco, qui ci troviamo in un territorio molto diverso culturalmente, dove si parla e si comprende lo spagnolo ma dove è vivissimo il sentimento di appartenenza ad un’altra cultura. Ce ne rendiamo conto in tanti modi: dai cartelli stradali e dai nomi doppi delle città, spesso con quello in castigliano cancellato con gli spray; dalle mille bandiere basche ovunque, non accompagnate da quella spagnola come in tutto il resto della Spagna. Non si tratta di una semplice voglia di separatismo o di nazionalismo fine a sé stesso ma c’è qualcosa di molto, molto più profondo. Si ha la percezione di una certa sofferenza a dover reprimere le proprie usanze e prima di tutto la propria lingua, la più antica d’Europa, perché di una lingua si tratta, non di un dialetto.
Appena arrivati in hotel facciamo check in e ci godiamo subito una birra ghiacciata in giardino (strana usanza quella spagnola di ghiacciare i bicchieri della birra a mo’ di bicchierini di limoncello sarà per il troppo caldo, ma quale caldo?). Il barista è una sorta di “Ceccherini basco” con lunghi capelli non curati. Naturalmente lui non parla una parola di inglese ma in qualche modo ci capiamo e scopriamo che siamo nel bel mezzo della Semana Grande di Bilbao, quindi al nostro dubbio se rimanere a cena in Hotel o andare a Bilbao, ci dice che dobbiamo assolutamente andare alla festa. Aggiunge che volendo c’è un treno che passa dal paese vicino (Semana Grande per loro vuol dire fare mattina ubriachi). Cerco un po’ su internet ma non trovo nulla. Decidiamo di andare in moto.
Arriviamo, quando ancora non c’è molta confusione, proprio in bocca alla piazza del municipio e parcheggiamo la moto lì vicino, un po’ a caso, su un largo marciapiede dove ce ne sono altre e ci avventuriamo nella festa! Questo evento ci coglie di sorpresa quindi ci aggiriamo cercando di scoprire qualcosa: il casco viejo lungo il fiume è costellato di stand gastronomici e “alcolici”, allestiti a tema da associazioni, che si allungano verso il cielo ricoprendosi di graffiti e scritte naturalmente in basco e quindi incomprensibili! C’è veramente tanta gente. È una grandissima festa popolare ricca di suoni, colori, simboli e sapori baschi. Siamo storditi dall’atmosfera. L’ingresso al centro è blindato da una serie di macchine della polizia messe a scacchiera. Anche il fatto di aver portato Leila non rassicura: per la poca esperienza che ho avuto questi eventi spagnoli, anche religiosi, sono sempre all’insegna del divertimento sfrenato e spesso sono fuori controllo. Le persone girano con dei bicchieri di plastica appesi al collo (lo danno alla prima ordinazione e poi lo usi tutta la sera nei vari stand). Ci sono anche molte postazioni di griglie private che scoprirò poi che fanno parte delle usanze: oltre le associazioni, ogni gruppo (famiglia, amici, colleghi) si raduna attorno ad un fuoco da campeggio e (già a partire dalle prime ore del mattino) si mettono a cucinare delizie di ogni genere e “campeggiano” nelle piazze della città. Tutti con il fazzoletto blu al collo, tutti con qualcosa di rosso e bianco addosso, molti in abiti tradizionali (o maglie da calcio). Praticamente tutti, tra loro, parlano basco.
Sbuchiamo proprio davanti al teatro Arriaga quando cominciano i fuochi d’artificio. Andiamo sul ponte dove la visuale è perfetta. La cosa che mi stupisce di più è che la folla nella sua totalità si è fermata a guardarli. Immobilismo, assenza di musica e luci spente come per un colpo di bacchetta magica! Belli, per quanto mi possano piacere i giochi pirotecnici.
Ripassiamo davanti al municipio e ci rendiamo conto che la parte pedonale è stata ulteriormente estesa e vietata al traffico da posti di blocco. Leila sta appena fuori: se l’avessimo parcheggiata un pochino prima toccava spingerla…aiuto! Questa festa, Aste Nagusia, dura nove giorni consecutivi, dal primo sabato successivo al Ferragosto, trasformando il centro di Bilbao in un immenso luogo di divertimenti con canti e balli. La “chupinera” è l’atto che simbolicamente apre i festeggiamenti tramite il lancio di un razzo. La persona, anzi la donna, che annualmente svolge questo rito appartiene alla comparsa che è stata estratta a sorte. In realtà noi non abbiamo avuto modo di vedere gli elementi chiave di questa festa: le “comparsas” cioè vari gruppi di persone vestite con costumi tradizionali, che fanno baldoria per le strade aiutandosi con degli strumenti musicali e le maschere, i giganti (pasacalles) che rappresentano alcune figure importanti per la storia della città. E infine nemmeno l’icona della festa Marijaia, un pupazzo gigante con le sembianze di una grande signora con le mani alzate.
All’interno della Semana Grande di Bilbao si svolge un concorso internazionale di fuochi d’artificio. Ogni sera vengono proposti spettacolari giochi pirotecnici! ecco perchè si prendono uno spazio così importante! Comunque qua bisogna venire a piedi e sfinirsi di balli e alcol, altrimenti non è divertente. Poco dopo mezzanotte siamo in hotel
Dopo una colazione con i controfiocchi si parte. Decidiamo di non passare a Bilbao perché con la festa sarebbe difficile muoversi con la moto per vedere la città en passant e più di questo non abbiamo il tempo di fare! E io mi ero pure illusa di riuscire ad incastrare una visitina al Guggenheim. Lasciamo la capitale della Biscaglia con un senso di incompiuto: non so se essere felice per essere incappata durante la festa più sentita e partecipata del paese e averne potuto godere un assaggio o dispiaciuta per non aver visto praticamente nulla della città che negli ultimi anni è stata oggetto di una serie di progetti di riqualificazione urbana. Le più grandi “archistar” del mondo hanno arricchito la città di edifici ed infrastrutture moderne che si mescolano alle tracce di un passato barocco e rinascimentale.
Prossima tappa Gaztelugtxe. Posto incantevole segnalato da Enrico. Arrivati sulla costa di Biscaglia ci fermiamo al belvedere Parque Mirador Bakio proprio sopra l’omonima spiaggia e poi seguiamo le indicazioni del navigatore. E’ l’ora di pintxos senza un domani.
Dopo questa pausa ristoratrice cerchiamo di rifocalizzarci sui nostri obiettivi: Gaztelugatxe è un isolotto su cui è ubicata una chiesa che richiede un certo impegno per essere conquistata: ben 231 scalini a strapiombo sull’Oceano! Un sottile e tortuoso ponte collega l’isola, e quindi l’eremo dedicato a San Giovanni, alla terraferma: luogo di pirati, di streghe, portafortuna dei pescatori, amuleto contro le emicranie e, oggi, meta di pellegrinaggio per donne che desiderano la maternità. Ce ne sarebbe già abbastanza per visitarla se non fosse che Gaztelugatxe è soprattutto meta degli amanti della fotografia per lo straordinario panorama che si gode dalla sua sommità!
Un sentiero scende verso il basso. Ci incamminiamo, con disappunto di Enrico, almeno per raggiungere il belvedere e poi decidere se raggiungere il ponte. Dopo aver fatto un quarto di percorso in discesa, ci rendiamo conto che la gita non è fattibile (solo per una questione di tempo sia chiaro!) quindi ci inerpichiamo per ritornare con una fatica disumana, è comunque molto bello anche visto dall’alto.
Continuiamo la nostra strada verso San Sebastian passando per Mundaka. La guida dice sia un paesino delizioso rimasto intatto nonostante si diventato famoso per il Surf. Arriviamo al molo, la gente fa il bagno dal mostro di cemento. Ormai si sono fatte le 14:30 quindi si decide di prendere la strada più veloce per raggiungere la prossima tappa addentrandoci quindi all’interno ma senza fare sosta a Guernica.
Anche San Sebastian (Donostia), chiamata la perla dell’oceano, è una elegante città con una splendida baia e meta di un turismo balneare di élite. Parcheggiamo proprio vicino al boulevard sul fiume Urumea e andiamo verso il casco viejo costituito per lo più da edifici ottocenteschi in stile Belle Epoque e ci imbattiamo nuovamente nei pintxos. I Pinchos sono delle piccole porzioni di cibo che in origine erano sempre accompagnate da un bicchiere di vino. Sia per legare il condimento al pane, sia per un discorso di praticità, nei Pinchos si usava inserire uno stuzzicadenti che “pinchava” insieme i vari ingredienti. Le tapas invece prendono il nome dal “tappare” il calice con la mini porzione di cibo. Esse nascono a seguito dell’esigenza di coprire il bicchiere di vino al fine di non fargli andare nulla all’interno. Le tapas sono poi diventate famose in tutto il mondo, rispetto ai Pinchos che sono rimasti più un’usanza locale e sono talmente irresistibili che si finisce con l’avere l’assoluta convinzione che le province basche siano una delle destinazioni gastronomiche migliori del mondo (dopo la Galizia naturalmente!).
Santander e San Sebastian, località tanto menzionate da tutti, mi hanno lasciato un po’ di amaro in bocca. Provenendo dalla natura incontaminata della Galizia, la costa del mar Cantabrico mi ha deluso anche se bisogna tener presente la superficialità della visita.
Il nostro viaggio giunge ormai al termine. Stasera pernotteremo per l’ultima volta in terra spagnola per poi solcare la terra francese. Hondarriba è un grazioso paesino di mare di frontiera, sulla foce del fiume Bidasoa che segna appunto il confine. Ci siamo illusi di godere ancora per una notte della terra spagnola ma qui siamo già praticamente in Francia e i prezzi dei menù dei ristoranti ce lo ricordano chiaramente.
Carichiamo la moto e sconfiniamo in Francia. Decidiamo di non fare tappa né a Biarritz, famosa per il surf né a Bayonne, dalla concessionaria HD dato che abbiamo dato un stop agli acquisti. Il tempo non è bello ma non importa, è sufficiente che non piova. Dopo aver fatto benzina a Irun, prima sosta a Aire de Serre Morlaas sud. Ci fermiamo poco dopo verso le 13:30 per fare benzina a Aire de Pyrenees a Ger dove c’è una curiosa scultura dedicata al giro di Francia Verso le 15 ci fermiamo per pranzo a Aire de Garonne a Capens. Le aree di servizio in Francia consistono in chilometri di zone verdi con tavoli e panche in legno per il picnic: i francesi sono tutti attrezzati in questo senso con tanto di tovaglia e ghiacciaina. Alcuni addirittura si fanno un sonnellino sulla sdraio sotto gli alberi.
Arriviamo a Carcassone dove passeremo la notte. Domani iniziano i quatto giorni della grande festa de la Feria de Carcassonne: concerti gratuiti e animazioni: troppo presto. Accediamo alla cittadella fortificata che è un susseguirsi di negozietti di prodotti tipici e armature. In posizione centrale alla cittadella troviamo la Basilica di San Nazario, uno slancio gotico verso il cielo: arcate che poggiano su colonne con capitelli scolpiti, sottili contrafforti sormontati da guglie, una balaustra adornata da una ghirlanda di foglie, doccioni e teste sporgenti, una torretta, un pinnacolo. La pace e serenità dello spoglio interno romanico, illuminato dal caleidoscopio delle vetrate medievali, vibrano sulle corde dell’arpa e riposano sulle melodie del canto angelico. Un capolavoro
Anche oggi sono previste solo soste fisiologiche.
Prima di entrare in autostrada a Lezignac, percorriamo un tratto della D611 che incrocia dei pezzi della Route 20, la via del vino AOC Corbière: anche qui coltivazioni ad alberello! Prima sosta Aire de Ambrussum: una stazione di servizio fenomenale che al suo interno racchiude anche un McDonald con decine di postazioni self per ordine e pagamento! Brulicante! Sosta pranzo a Aire de Lacon. Decisamente più vivibile!
Arrivo a Frejus in serata. Parcheggiamo la moto all’inizio del Boulevard de la Libération e percorriamo tutto il lungo mare. Arriviamo al piccolo porto che è una vera chicca! Qui i ristoranti si succedono inesorabilmente uno dopo l’altro stordendoci di menù al ribasso. Stasera ostriche servite con ghiaccio tritato e fette di limone su vassoio inox e relativa alzata! I cugini francesi non si limitano a degustare le ostriche al naturale!
Ecco quindi ciotolina di aceto e burro: la procedura sarebbe: condire l’ostrica con l’aceto, aggiungere un sospetto di pepe e dopo aver gustato, azzannare un pezzo di pane e burro. Facciamo un 50%, il sapore del mare per me è irrinunciabile.
Sveglia, colazione express e ciao ciao. La vacanza è proprio finita!
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